Milano, studente accoltellato, resterà invalido. Incredibili i commenti del branco in chat

Milano, studente accoltellato, resterà invalido. Incredibili i commenti del branco in chat
La Voce di Venezia
Un’aggressione brutale avvenuta nelle prime ore del 12 ottobre, in pieno centro a Milano, ha portato all’arresto di cinque giovani – tre minorenni e due appena maggiorenni – accusati di tentato omicidio pluriaggravato e rapina. La vittima, un ventiduenne iscritto all’Università Bocconi, è stata circondata all’uscita di un locale in corso Como e colpita con due fendenti alla schiena dopo essere stata picchiata e derubata di 50 euro. Il ragazzo è sopravvissuto grazie a tempestivi interventi chirurgici, ma le conseguenze delle ferite, secondo i medici, saranno permanenti.
Il giovane, dopo aver trascorso la serata al Play Club, è stato avvicinato da un gruppo di cinque ragazzi poco dopo le tre del mattino. Prima le provocazioni, poi le richieste insistenti di una sigaretta o di qualche euro da cambiare. A quel punto gli prendono di mano una banconota da 50 euro: il tentativo di recuperarla scatena la violenza. Lo colpiscono ripetutamente con calci e pugni, fino a farlo cadere. Uno degli aggressori, identificato come A.C., diciottenne, apre un coltello a serramanico e lo ferisce due volte alla schiena. Subito dopo si allontanano, proseguendo la serata nei locali circostanti. il video della drammatica aggressione è stato diffuso ma noi preferiamo non mostrarlo.
La vittima viene trovata in condizioni gravissime e trasportata d’urgenza in ospedale: resta per giorni in pericolo di vita e necessita di numerose trasfusioni. Mentre i medici cercano di salvarlo, la polizia avvia le indagini partendo dalla testimonianza di due ragazze che assistono alla scena. Raccontano di un gruppo molto giovane, tutti minorenni eccetto uno, vestiti in abiti scuri, tranne uno con una giacca bianca particolarmente riconoscibile.
Le telecamere della zona forniscono immagini nitide e il sistema di riconoscimento Sari segnala un’alta compatibilità con uno dei giovani già noti alle forze dell’ordine, nato in Italia da famiglia egiziana. Il 22 ottobre scattano le perquisizioni nelle abitazioni dei sospetti. Vengono rinvenuti un coltello, abiti identici a quelli ripresi dalle telecamere e perfino un paio di scarpe di marca corrispondenti alle immagini dei video. Tra gli elementi più evidenti c’è anche una giacca bianca con cinque bottoni, ritenuta la stessa indossata dall’accoltellatore.
Durante le perquisizioni emergono forti reazioni da parte dei familiari. Alcuni genitori si rifiutano di credere al coinvolgimento dei figli; uno di loro, secondo gli atti, avrebbe persino suggerito al ragazzo di non consegnare il coltello. Nonostante ciò, gli elementi raccolti risultano abbastanza solidi da giustificare il fermo dei cinque giovani.
Nel momento in cui vengono convocati per l’interrogatorio, gli investigatori ascoltano casualmente le loro conversazioni nella saletta d’attesa del commissariato. Le intercettazioni rivelano un atteggiamento di leggerezza, se non di vero e proprio compiacimento, per la violenza commessa. I ragazzi ridono, si scambiano battute sulla vittima e mostrano di sperare che non sopravviva, così da non poter testimoniare. Uno dei diciottenni ammette di temere le proprie responsabilità, mentre chi ha fatto da «palo» appare tranquillo e poco preoccupato delle possibili conseguenze giudiziarie.
Dalle chat recuperate sui loro telefoni emerge un quadro analogo: si vantano del pestaggio, parlano di pubblicare sui social il verbale della perquisizione e addirittura di documentare in una storia Instagram l’arrivo al commissariato. Un minore, entrando nel profilo TikTok dell’eurodeputata leghista Silvia Sardone, commenta con tono provocatorio un video che riportava una serie di accoltellamenti avvenuti in una sola notte, insinuando che ce ne sarebbe stato un altro non ancora scoperto.
Quando iniziano a temere un arresto, i giovani discutono possibili strategie per sottrarsi alle responsabilità: dall’ipotesi di fuggire all’estero a giustificazioni considerate improbabili, come l’ubriachezza o un presunto comportamento minaccioso della vittima. Parlano anche del rischio che qualcuno del gruppo possa «pentirsi» e collaborare con gli inquirenti. Alcuni mostrano la volontà di cancellare prove dalle chat, convinti che ciò possa metterli al riparo da accuse più gravi.
Uno degli ultimi tentativi che emergono dalle conversazioni è quello di costruire un’apparenza di pentimento, ipotizzando di far visita alla vittima per apparire più credibili davanti ai magistrati. Tuttavia, dalle stesse parole riportate nelle trascrizioni, traspare quanto tale atteggiamento fosse più una strategia processuale che un reale moto di coscienza.
Il giudice per le indagini preliminari, valutando il rischio concreto di reiterazione del reato, fuga e inquinamento probatorio, ha disposto la custodia cautelare per tutti e cinque: i minorenni al carcere Beccaria, i due maggiorenni a San Vittore. Le indagini proseguono, mentre la città segue con crescente attenzione un caso che riapre la discussione sulla violenza giovanile e sulle dinamiche di gruppo che stanno svelando atteggiamenti veramente inquietanti.
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