Just Mustard – WE WERE JUST HERE
Terzo attesissimo album per la band irlandese Just Mustard che fluttua tra inquietudine ed incanto, azzardando sonorità più spicy e confermando l’apprezzabile peculiarità in ambito shoegaze. Si sono fatti le ossa negli anni aprendo i concerti dei The Cure e dei Fontaines D.C. ed il quintetto di Dundalk, città europea di confine tra le due Irlanda, gioca continuamente tra sonorità cupe, luce e distorsioni inasprite sebbene è come se indugiasse ad uscire totalmente dall’ombra perché in questo dualismo l’una legittima l’altra. “WE WERE JUST HERE” è un album dalla superficie ruvida, grezza, non del tutto uniforme nella sua imperfezione e che grazie alla voce di Katie Ball si fa accarezzare con fiducia.

Rispetto ai due lavori precedenti – di cui ne abbiamo già parlato sul nostro sito Indie For Bunnies qui “Wednesday” (2018) e “Heart Under” (2022) – in “WE WERE JUST HERE” si riscontra una maggiore attenzione nel valorizzare una contrapposizione sonora cupa, dura, vivace, affannosa che si alterna ad una voce onirica, a tratti fiabesca, immaginario fairy tales caro in Irlanda, che restituisce la convivenza equilibrata tra due mondi apparentemente distanti, ma che invece si fondono tra pause, sospensioni e frenesia. Si respira trepidazione per via di sequenze e frequenze disturbate, lunaticità sonora, suoni lasciati volutamente offstage, determinanti con la loro nascosta presenza, e distensione grazie alle alte tonalità della voce che soverchia la nebulosa in un andirivieni tra dentro e fuori. “DREAMER”, quarta traccia dell’album, ne è un esempio.
“I’m seeing, not dreaming now” canta Katie Ball in “POLLYANNA” ed in effetti questa sensazione dreamy viene rovesciata nella cruda realtà melodica che creano David Noonan (produttore/chitarra/seconda voce), Mete Kalyion (chitarra), Rob Clarke (basso) e Shane Maguire (batteria) in un’incessante osmosi. La band si sente che è unita ed affiatata, la batteria è sicuramente parte determinante e collante tra i diversi tempi, sonorità e ambientazioni create. I reverberi ed i suoni più sperimentali di tracce come “Seed” o “Blue Chalk” del secondo album, ad esempio, qui sono sostituiti da cigolii melodici e strutturali più industrial e noise.
All’allarmante ripetitività ipnotica di “POLLYANNA”, si susseguono i suoni abrasi di “ENDLESS DEATHLESS”, “SILVER” e della title-track “WE WERE JUST HERE”, a cui si alterna un concetto più sperimentale in “SOMEWHERE”, ma soprattutto in “THAT I MIGHT NOT SEE” dove il ritmo vertiginoso e frenetico dei suoni si concatenano alla voce monosillabica del finale. In “DANDELION” emerge, a mio avviso, la scelta di reverberare il side-stick del rullante, rivisitando in versione mustard territori elettronici e trip-hop. “OUT OF HEAVEN” è la chiosa calzante di un concetto confermato dallo stesso David Noonan in cui “La struttura vocale era la cosa più importante“ che effettivamente si percepisce in tutto l’album ed in cui “la voce di Katie emerge sempre più nel mix lungo tutto l’album“.
Se in qualche pub dell’Emerald Isle vi dovessero chiedere “Any dip on the side?” – e gradite il sapore del piccante che si sposa con lo zuccherino – potete tranquillamente rispondere “Just Mustard, please“, l’apprezzerete.
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