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Trovo surreale il modo in cui in Italia viene affrontato il dibattito su una tassa patrimoniale

di Stefano De Fazi

Ritengo che, dato il contesto attuale, chiunque si definisca di sinistra dovrebbe sostenere una tassazione rilevante sui grandi patrimoni. È ormai evidente il danno che un’eccessiva concentrazione della ricchezza — come quella che viviamo oggi — provoca allo stato sociale e al processo democratico. Tuttavia, sono assolutamente aperto a un dialogo costruttivo con chi la pensi diversamente, ma ciò che trovo davvero intollerabile è il modo approssimativo e surreale con cui se ne discute nel dibattito pubblico italiano.

Alcuni giorni fa ho avuto la sfortuna di imbattermi nel tema durante uno dei talk show politici più famosi della televisione italiana. Vale la pena notare come gli ospiti — Pierferdinando Casini, Massimo Giannini e Chiara Geloni — fossero tutti riconducibili a un’area di centro-sinistra; eppure nessuno dei tre ha avuto dubbi nell’affermare che parlare di patrimoniale, come hanno fatto di recente le opposizioni, sarebbe un assist al governo Meloni.

La prima argomentazione proposta è che, con un livello di pressione fiscale al 42,6%, non sarebbe possibile introdurre una nuova forma di tassazione. Questo valore è certamente alto, anche se non tra i primi tre in Europa. Tuttavia, il vero problema del sistema fiscale italiano è la sua ripartizione: il carico grava quasi interamente sui lavoratori con redditi medi o di poco sopra la media, mentre è poco incisivo sui detentori di grandi patrimoni e sulle loro rendite. A conferma di ciò, uno studio dell’Università di Pisa ha mostrato che il sistema è progressivo solo per il 95% dei cittadini: per il 5% più ricco diventa fortemente regressivo. In quest’ottica, la patrimoniale è proprio lo strumento adatto per correggere questa stortura, liberando risorse per ridurre la pressione sui redditi medi e redistribuendo quel 42,6% in modo più equo.

Un altro argomento ricorrente è che “circa l’80% degli italiani possiede una casa”, e dunque non si potrebbe tassare la proprietà. In realtà, qualsiasi proposta di patrimoniale riguarda esclusivamente i grandi patrimoni — ad esempio con una soglia minima di 5 milioni — e coinvolgerebbe solo il 2-3% più ricco del Paese. Inoltre, poiché queste proposte sono spesso accompagnate dall’eliminazione di imposte attuali sul patrimonio spesso regressive; una quota tutt’altro che marginale di italiani con una seconda casa di modesto valore ne trarrebbe persino vantaggio tramite l’abolizione dell’Imu.

Un’altra frase che ho dovuto sentire, e che faccio fatica a tollerare, è: “È inutile parlare di patrimoniale, serve una riforma complessiva del fisco”. È una tattica frequentemente usata — spesso, a mio avviso, in malafede — per screditare proposte di buon senso in contesti diversi. Si sa bene che una riforma complessiva, allo stato attuale della politica, è difficilissima; allo stesso tempo si invoca questa necessità per bloccare sul nascere qualunque proposta concreta che possa rappresentare un passo avanti. Per questo è importante dirlo chiaramente: sì, una riforma complessiva del fisco è necessaria, e la tassazione delle grandi ricchezze ne è un tassello fondamentale.

Nel corso del dibattito televisivo viene ovviamente ignorato il fatto che le principali organizzazioni che si occupano del tema, da Tax Justice Network a Oxfam, promuovono la tassazione sui grandi patrimoni anche a livello nazionale, e quindi non solo tramite accordi internazionali come quelli del G20 o dell’Onu. Inoltre, mettono in luce che esistono esempi concreti che dimostrano come il temuto esodo dei milionari, spesso evocato da chi è contrario, sia talmente ridotto da risultare irrilevante.

Si possono muovere molte critiche ai partiti di opposizione attuali, ma temo che ci sia un problema di fondo molto più grave: il livello medio dell’informazione italiana su temi imprescindibili come questo.

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