Società

Abusi sui minori, Gabriele Rosato: «Impariamo ad ascoltare i bambini: è da qui che deve partire la prevenzione»

Novembre non è solo il mese della lotta contro la violenza sulle donne e della giornata a essa dedicata. No, non solo. Il 18 novembre ricorre la Giornata europea per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, un’occasione per fermarsi a ragionare su un altro reato gravissimo quale è la violenza sessuale sui bambini e sulle bambine e in particolare sulla pedofilia familiare, perpetrata cioè dagli stessi genitori o parenti.

È in casa, infatti, che l’aggressore si nasconde più spesso, coperto dagli altri familiari e indisturbato nel suo agire. Secondo gli ultimi dati del Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale Polizia Criminale resi noti da Fondazione Terre Des Hommes, sono stati 7.204 i reati a danno di minori in Italia nel 2024, e tra i reati a sfondo sessuale è la violenza sessuale aggravata a registrare il maggior numero di segnalazioni con il 73% dei casi denunciati. E incrociando i dati di Telefono azzurro emerge che le violenze sono consumate nel 67% dei casi nelle stesse abitazioni delle vittime, per opera di uno dei genitori (47% dei sex offender).

Come fare dunque a proteggere i bambini e allontanarli dai familiari abusanti?  Per rispondere a questa domanda ho voluto incontrare Gabriele Rosato, antropologo culturale e facilitatore in gruppi di mutuo-aiuto tra adulti vittime di abusi nell’infanzia, che a sua volta è un survivor, un sopravvissuto. Ci siamo incontrati a Milano e, forse non a caso, per parlare ci siamo seduti su una panchina rossa, in uno dei Parchi principali della città.

Gabriele, quando hai deciso di raccontare la tua storia e di aiutare bambini e adulti a reagire alle violenze subite?
«Ho iniziato ascoltando prima le storie di altri adulti e poi “ascoltando” la mia. Succede spesso alle persone che hanno subito traumi nell’infanzia: all’inizio hanno voglia di rendersi utili agli altri e solo dopo cominciano a essere utili a se stessi. Mettersi ad ascoltare è sempre la prima cosa da fare. Quando trascorrono molti anni dall’epoca degli abusi, è faticoso uscire dal silenzio, e poche vittime possono permettersi di esporsi, a causa della rete di omertà costruita intorno alle violenze. Per scardinare questo sistema l’unico modo è uscire allo scoperto e rinunciare a quel pezzetto di “privilegio” che dà il silenzio. Il privilegio di restare nel segreto e non correre rischi, che al tempo stesso però lascia che altri bambini oggi continuino a essere violati e abusati dai loro familiari».

Il sistema italiano di tutela minorile secondo te è capace di «ascoltare» e riconoscere tempestivamente i casi di abuso sessuale sui più piccoli?
«Sul piano metodologico, io non posso dire che non funzioni, perché godiamo di una serie di misure di protezione non da poco. Il lavoro di molti e molte assistenti sociali è encomiabile e spesso ignorato. Ma sul piano culturale e sociale si fa ancora poco. Pensiamoci: la gente si confronta con il tema dell’abuso sessuale sui bambini solo in 2 casi, o perché esistono Giornate come il 18 novembre, o perché il fatto sta riguardando direttamente la propria realtà. Altrimenti, si tratta di un argomento completamente tabù, lontano da sé. Se tu chiedessi a chiunque: “Ci sono situazioni di abuso su minori nella tua famiglia o nel tuo palazzo?”, nessuno ti risponderebbe “Può darsi” anche se ne avesse il sospetto, come quando in caso di femminicidio i vicini di casa dicono: “Io non immaginavo, lui sembrava una così brava persona”. In realtà, tutti notano dettagli, movimenti, gesti ma scelgono di osservare il silenzio».


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