Naturopata di Pecetto sottrae migliaia di euro a donna con la sua “aloe arborescens brasiliana” a sua detta curativa
PECETTO – La vicenda che oggi porta il naturopata pecettese Gianfranco Lanza, 57 anni, e la sorella Manuela davanti al giudice inizia nel 2011, quando una donna di 67 anni si rivolge allo studio del naturopata in via Circonvallazione 5, a Pecetto. Lanza la riceve indossando un camice bianco e facendosi chiamare “dottore”, pur senza alcun titolo. Nel suo ambulatorio e sui materiali promozionali pubblicizza il marchio “Aloe Ghignone”, dal cognome della madre Ottavia, fondatrice dell’attività.
Il naturopata attribuisce ai suoi prodotti proprietà terapeutiche inesistenti, arrivando a sostenere che la sua “aloe arborescens brasiliana” – in realtà italiana – fosse in grado di far dimagrire e perfino di agire contro patologie gravi come dermatiti, psoriasi, artriti, dolori muscolari e tumori. Secondo quanto riportato dall’Antitrust, parlava addirittura di una «molecola killer» capace di colpire le cellule tumorali e affermava che «un paziente oncologico ha un’aspettativa di vita decisamente inferiore se fa chemio senza aloe». Per queste affermazioni il Garante per la Concorrenza gli infligge una sanzione.
La cliente, convinta dalle promesse di Lanza e desiderosa di aiutare il figlio gravemente malato, acquista ripetutamente i prodotti, arrivando a consegnare assegni da 4-5 mila euro per volta. Spera anche di perdere peso grazie ai flaconi “snelling”, ma non ottiene alcun risultato. Si sente ingannata e denuncia il naturopata.
Il Processo
Si apre così un procedimento per truffa e frode alimentare. In primo grado Lanza viene condannato a un anno e due mesi per entrambi i reati; nel 2020 la Corte d’Appello riduce la pena a tre mesi e conferma solo la frode, mentre la truffa risulta prescritta. «Lanza si presentava come un medico e vendeva un prodotto diverso da quello promesso – scrive la Corte – e quando se ne è accorto non ha fatto nulla». Nonostante i procedimenti giudiziari, il naturopata continua a vendere i suoi preparati, oggi descritti sul sito come semplici integratori alimentari o prodotti disintossicanti.
Parallelamente, la donna avvia l’iter per il risarcimento dei danni, quantificati in 18 mila euro. Ma, secondo la procura, Lanza risulta nullatenente solo “sulla carta”. La pm Fabiola D’Errico contesta a lui e alla sorella di aver aperto un conto corrente intestato a Manuela, sul quale sarebbero stati accreditati i proventi dell’attività dell’uomo. In questo modo, secondo l’accusa, avrebbero sottratto il denaro «alle pretese creditorie» della vittima.
Per questi fatti Lanza e la sorella sono ora imputati per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. Il processo è in corso e rappresenta l’ultimo capitolo di una vicenda iniziata oltre dieci anni fa.
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