Kiev prova a fermare l’assedio. Orbán apre il tour anti-Ucraina
Il possibile cessate il fuoco che sembrava alle porte qualche mese fa è ormai un ricordo e il triste anniversario del quarto anno di conflitto è ormai alle porte. Anche perché la guerra non solo continua ma aumenta costantemente di intensità. La Russia non smette di colpire le città ucraine, prendendo di mira le centrali energetiche per lasciare al freddo e al buio i civili ma anche i civili stessi, con droni e missili che seminano morte tra i palazzi. Kiev replica con attacchi a lungo raggio sulle raffinerie russe e cerca una strategia per limitare i danni dove sul campo le forse di Mosca continuano ad avanzare.
In particolare a Pokrovsk, diventata battaglia simbolo di questo momento di guerra. Le forze ucraine hanno fatto saltare in aria la strada che collega Selydove e Pokrovsk per tagliare le vie logistiche di accesso alla città e bloccare i rifornimenti e l’arrivo di nuove truppe. Un attacco aereo grzie al quale, secondo Kiev, “i russi hanno perso la possibilità di utilizzare questa via per infiltrarsi a Pokrovsk con veicoli leggeri”, dopo che Mosca aveva detto di aver preso il controllo di Selydove già due settimane fa. E che adesso rivendica il controllo di una nuova località nella regione ucraina di Zaporizhzhia, Yablokovocon le truppe ucraine che si sarebbero ritirate anche da Novovasylivske “per assumere posizioni difensive più favorevoli” e gestire al meglio l’avanzata russa.
La replica sul campo di Kiev arriva con un attacco di droni contro una raffineria nella regione russa di Ryazan, circa 200 chilometri a Sud-Est di Mosca. Dopo i video dell’attacco e del successivo incendio, il governatore di Ryazan Pavel Malkov ha confermato l’attacco senza però fornire dettagli. Il giorno prima erano stati colpiti diversi impianti sul Mar Nero costringendo i russi a dichiarare lo stato di emergenza. L’unico spiraglio, l’accordo annunciato da Kiev per la liberazione di 1.200 prigionieri ucraini.
Ma il conflitto non si ferma nemmeno a livello dialettico. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dopo le trattative bloccate dall’ostruzionismo del Cremlino, è tornato a parlare auspicando una conclusione rapida anche perché “hanno detto che nell’ultimo mese sono morti 25mila soldati, più o meno in egual misura in entrambi i Paesi. Non si è verificato nulla di simile dalla Seconda Guerra Mondiale”, aggiungendo che “pensavo di avere un ottimo rapporto con il presidente Putin. Li abbiamo messi sotto pressione, con l’India e il petrolio”. Più realista l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas: “La verità è che se si inizia a investire nella difesa quando ne abbiamo veramente bisogno, è già troppo tardi, e lo è anche oggi. Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”, ha detto. “Se non siamo preparati mettiamo a rischio ogni euro che spendiamo per scuole, ospedali e settori culturali”. Ma nel vecchio Continente c’è una spina che si fa sempre più fastidiosa e risponde al nome di Viktor Orbán. Dopo essersi messo di traverso quanto più possibile nelle sanzioni a Mosca come per gli aiuti a Kiev, palesando la sua vicinanza al Cremlino, e il summit con Trump in cui ha ottenuto una deroga sull’acquisto del petrolio da Mosca, il leader ungherese alza ancora il tiro. Prima annuncia che porterà Bruxelles in tribunale contro lo stop all’import di gas russo, poi in vista delle elezioni nel suo Paese, avvia un tour elettorale interamente incentrato contro la guerra in Ucraina come strumento per recuperare consenso, visti i sondaggi che lo danno per sconfitto.
“L’anti-war roadshow” di Orbán è l’ennesimo segnale di vicinanza a Mosca e lontananza con Bruxelles: “L’Europa vuole portarci in guerra ma il popolo ungherese è contrario”, ha detto. Ovviamente senza mai sognarsi dal richiamare la Russia alle sue responsabilità bellicistiche confermandosi una mina vagante tra i droni, le bombe e i missili.
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