«È malattia professionale, va risarcito». Una sentenza-pilota per gli autisti
ANCONA Colonna vertebrale e rachide cervicale in sofferenza per il lavoro svolto: l’Inail dovrà “risarcire” un dipendente di Conerobus. L’uomo, un 57enne, ha riportato un danno biologico del 14% sviluppato – stando alla risultanze della consulenza tecnica – quando lavorava come autista dei bus della linea urbana.
Il valore
L’indennizzo, per un valore che sfiora i 18mila euro, è stato sancito recentemente dalla sentenza emessa dalla Corte d’Appello, sezione civile, che ha respinto il ricorso presentato dall’Inail. L’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ha impugnato il verdetto di primo grado con cui il giudice Andrea De Sabbata aveva, nel novembre dello scorso anno, riconosciuto il danno biologico patito dall’autista che, nel frattempo, ha cambiato mansione. Il dipendente si era rivolto al tribunale perché l’Inail aveva riconosciuto l’origine professionale delle sole ernie discali, escludendo i problemi alla cervicale. Una tesi, quella del lavoratore, accolta dal giudice, che aveva condannato l’istituto a corrispondergli l’indennizzo per la malattia professionale.
Un verdetto apripista (perlomeno per il nostro distretto), considerando che come patologia lavorativa è stata riconosciuta anche la sofferenza sviluppata nel tratto cervicale. La malattia non veniva considerata tale per gli autisti dei mezzi pubblici, ma solo (per esempio) per i camionisti o i conducenti di macchine agricole. A portare la sentenza in questa direzione è stata la consulenza tecnica del medico legale, disposta nel corso della causa di primo grado. Aveva accertato nel dipendente (assistito dall’avvocato Stefano Brugiapaglia) la spondiloartrosi del rachide lombare con la presenza di piccole ernie, ma anche problemi di cervicobrachialgia bilaterale, con una «modesta deviazione a sinistra della colonna cervicale» ed ernie distali. Come riportato nella sentenza, «la guida degli autobus rappresenta una sorgente di rischio di esposizione a vibrazioni del corpo intero». E ancora: «Se l’Inail riconosce la sussistenza del nesso causale tra il rischio lavorativo e la malattia denunciata a carico del tratto lombare, non si comprende il motivo per cui possa escludere il distretto cervicale, anatomicamente indissociabile dal lombare; ed anzi paradossalmente esposto a vibrazioni amplificate rispetto al distretto sottostante».
Il ricorso
Contestando le risultanze delle consulenza e del nesso causale tra l’attività lavorativa e le ernie cervicali, l’Inail ha proposto ricorso. Ma la Corte lo ha respinto, confermando la sentenza di primo grado.




