Per oltre due anni non paga fatture a un’azienda: condannato dirigente comunale
di Dan.Bo.
La Corte dei conti dell’Umbria ha condannato un ex dirigente tecnico del Comune di Amelia a risarcire un danno erariale di quasi 24mila euro per aver omesso per oltre due anni e mezzo il pagamento di fatture dovute a una società fallita, causando così un contenzioso costoso per l’ente.
La vicenda La sentenza riguarda la gestione dei rapporti tra il Comune e un’azienda laziale, incaricata di eseguire lavori pubblici su tre distinti progetti: i due lotti del parcheggio di Porta Posterola e un campo da bocce nella stessa località. Dopo il fallimento della società, dichiarato dal Tribunale di Rieti nel marzo 2018, la curatela ha più volte chiesto il pagamento di crediti residui per un totale di 27.551,25 euro. Il funzionario comunale, all’epoca responsabile del procedimento, ha però ignorato o rigettato le richieste, sostenendo che non vi fossero fatture impagate.
Comunicazioni elusive Le richieste della curatela, inviate tramite posta elettronica certificata, sono state accompagnate da documentazione dettagliata: riferimenti delle fatture, schede contabili, solleciti e persino una proposta di composizione bonaria. Il dirigente, pur in possesso di tutti gli elementi necessari a verificare la fondatezza del credito, ha però continuato a rispondere con comunicazioni giudicate dalla Corte «ingiustificatamente elusive» e «del tutto contraddittorie». Un diniego che si è protratto anche quando il legale della curatela ha esplicitato l’intenzione di adire le vie legali.
In Tribunale La vicenda è poi sfociata in un procedimento giudiziario. La curatela ha ottenuto dal Tribunale un decreto ingiuntivo, contro cui il Comune ha presentato opposizione, poi dichiarata inammissibile per un vizio procedurale. L’ente ha quindi dovuto sostenere una spesa complessiva di oltre 57mila euro, comprendente il pagamento delle somme dovute alla curatela, le spese legali della controparte e il compenso del proprio legale. Solo nel 2024, con una delibera del consiglio comunale, il debito è stato ufficialmente riconosciuto come fuori bilancio.
Le accuse La Procura regionale ha quantificato il danno erariale in 31.414,63 euro, pari alla differenza tra quanto pagato complessivamente dal Comune e il valore delle fatture originarie non saldate (25.998,32 euro). A sostegno della responsabilità del dirigente, la Procura ha evidenziato il carattere sistematico della sua condotta omissiva, la contraddittorietà delle sue dichiarazioni, la mancata collaborazione con la curatela e l’assenza di qualsiasi iniziativa per evitare il contenzioso. La Corte ha accolto la ricostruzione accusatoria, riconoscendo l’esistenza del debito e il nesso causale diretto tra l’inadempienza del dirigente e l’insorgere dei costi giudiziari.
Le difese La difesa ha invece sostenuto che le richieste della curatela fallimentare fossero poco chiare e contenessero riferimenti a fatture inesistenti o già saldate, giustificando così la necessità di ulteriori chiarimenti. I legali hanno sostenuto che il dirigente era convinto della correttezza della propria posizione, basandosi sull’approvazione finale dei lavori. Una parte della responsabilità, secondo la difesa, doveva essere attribuita al legale esterno incaricato dal Comune, che avrebbe dovuto gestire la vertenza e valutare eventuali accordi transattivi. Le difese hanno poi sottolineato il carico eccessivo di lavoro, aggravato dall’emergenza Covid, come possibile causa di disattenzioni. Tutte motivazioni che non hanno convinto la Corte.
La sentenza La magistratura contabile ha ritenuto che l’imputato avesse tutti gli strumenti per accertare tempestivamente la legittimità delle richieste, ma che abbia «consapevolmente assunto il rischio di un danno ampiamente prevedibile». La sua condotta è stata qualificata come connotata da colpa grave, e più precisamente da «colpa cosciente». Nel motivare la sentenza, la Corte ha sottolineato come lo stesso dirigente, in un secondo momento, abbia firmato atti che confermavano l’esistenza delle fatture non pagate, smentendo di fatto le sue precedenti affermazioni.
Concorso di colpa Pur attribuendo al dirigente la responsabilità principale, la Corte ha riconosciuto un concorso di colpa da parte del segretario generale del Comune e del legale incaricato della gestione del contenzioso, che avrebbero potuto e dovuto intervenire per evitare l’evoluzione sfavorevole della vicenda. A questi soggetti, seppur non formalmente parte del giudizio, è stata ascritta una quota del 25 per cento del danno, con conseguente riduzione della condanna del dirigente.
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