Economia

Retail: come clienti i giovani amano i negozi, ma come lavoratori ne stanno alla larga


C’è un paradosso che attraversa il mondo del lavoro e che il 13esimo Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale, che ogni anno in Bocconi racconta l’evolvere dell’economia sostenibile, ha messo a nudo: i giovani faticano a trovare un’occupazione, il retail fatica a trovare giovani. Da questo “mismatch” è partito l’intervento di Francesco Massara, docente dell’Università IULM e direttore dell’Osservatorio Retail Brand Communication, che, durante l’incontro promosso dall’Associazione Donne del Retail, ha presentato i risultati di una ricerca su 1.677 ragazzi e ragazze tra i 14 e i 27 anni, appartenenti alle generazioni Zeta e Alpha.

Il quadro, spiega Massara: “Mostra un settore che offre opportunità reali ma comunica un’immagine di fatica e precarietà”. In altre parole: non è il retail a mancare di occasioni, ma di appeal.

Nativi digitali, ma ancora legati al negozio

La prima sorpresa riguarda il comportamento dei giovani come consumatori. “Nonostante siano nativi digitali -osserva Massara- molti apprezzano ancora il contatto diretto rispetto all’e-commerce, segno che il contatto umano nel retail conta ancora molto”. Più del 50% del campione indica infatti il negozio fisico come luogo preferito di acquisto, e il ricordo più vivo di un’esperienza di shopping è legato non a un prodotto, ma a una persona: lo staff. “Il personale di vendita è il primo trigger di memoria -spiega il professore- la cortesia e la competenza fanno la differenza”.

Lavorare nel retail? Prima esperienza sì, ma poi si scappa

Come clienti i giovani amano il negozio; come lavoratori, lo fuggono. Il retail è la prima esperienza lavorativa per un giovane su tre, ma solo il 10% esprime la volontà di costruirvi una carriera. Le parole più usate per descrivere il settore: “sfruttamento”, “sottopagato”, “stressante”, “precario” delineano un’immagine poco attrattiva, che scoraggia anche chi potrebbe esserne incuriosito.

Eppure, continua Massara, “oltre metà dei giovani è pronta a dire sì se le condizioni sono giuste. Sta alle aziende e a noi, formatori e selezionatori creare quelle condizioni”.

Valori, crescita, flessibilità: le chiavi del cambiamento

Cosa cercano dunque i nuovi talenti? Al primo posto la possibilità di crescita professionale, seguita da retribuzione equa, work-life balance, valori aziendali e flessibilità. Le ragazze, in particolare, danno più peso a equilibrio vita-lavoro, mentorship e sicurezza, mentre i ragazzi mettono al centro carriera e stipendio. In sostanza, il messaggio è chiaro: per attrarre le nuove generazioni il retail deve diventare un ambiente in cui si cresce, non solo si lavora.

Il ruolo dei brand: lavorare per chi si ama

Altro dato interessante: i marchi del cuore coincidono spesso con i sogni professionali. I più citati sono Nike, Zara, Adidas, Apple e Gucci. “I brand più aspirazionali hanno un vantaggio naturale nel recruiting”, sottolinea Massara. Significa che i retailer possono (e devono) fare leva sul proprio appeal di marca, trasformando la passione dei consumatori in motivazione lavorativa.

Una nuova narrazione del lavoro in negozio

Dalla ricerca emerge un messaggio positivo: le potenziali nuove leve ci sono ma per “convertirle”, serve un cambio di racconto. Il retail deve smettere di proporsi come “lavoro di passaggio” e iniziare a raccontarsi come palestra di competenze, ecosistema dove sviluppare soft skills e relazioni umane, insomma, una scuola di futuro. Una sfida culturale, prima ancora che occupazionale, che chiama in causa imprese, università e formazione.

Perché, come ha ricordato Massara: “I giovani vogliono lavorare per i marchi che amano e, per farsi amare, il retail deve tornare a parlare la loro lingua”.

*direttore di Markup e Gdoweek


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