Epitalami e versi d’amore da Lesbo a Costantinopoli (Traduzione di Stella Sacchini)
L’epitalamio viene riconosciuto come genere letterario a partire da Saffo ma siamo a conoscenza dell’esistenza di canti nuziali già agli inizi della letteratura greca. Questo tipo di canto prendeva il nome di ὑμέναιος (yménaios) ed era eseguito durante la νυμφαγωγία (nymfagoghía), ovvero l’accompagnamento della sposa, in corteo, dalla casa paterna a quella del marito. La maggior parte delle fonti testimonia infatti che il momento preferito per l’intonazione dell’yménaios era durante questa parte del rito, anche se non mancano testimonianze che la collocano in altri momenti della cerimonia.
Originariamente con il termine yménaios si indicava il genere letterario del canto nuziale in maniera generica, mentre non si era ancora rigidamente definito l’ambito spazio-temporale della sua esecuzione. Soltanto in epoca ellenistica, con il passaggio ad una dimensione meno spettacolarizzata delle celebrazioni, l’occasione del canto di accompagnamento venne spostata all’interno delle abitazioni, davanti al θάλαμος (thálamos) e prima della consummatio matrimonii. Questo spostamento determinò la nascita di un nuovo canto nuziale: l’ἐπιθαλάμιος (epithalámios); gli eruditi dell’epoca coniarono questo termine appositamente per indicare, attenendosi all’etimologia della parola, il particolare canto intonato davanti al thálamos. Solo più tardi il termine subì un ampliamento, sotto l’influsso della Seconda Sofistica e, sovrapponendosi a quello di yménaios, passò ad indicare l’intero genere delle composizioni nuziali.
Quelli che seguono sono alcuni fra gli epitalami più noti della grecità, intervallati da componimenti a tema erotico e amoroso, irrinunciabili in un immaginario volume di athémata, ossia “doni nuziali”.
S. S.
***
Ad Anattoria
C’è chi dice che sulla terra nera
la cosa più bella sia un esercito
di cavalieri, chi di fanti o navi;
io, ciò che s’ama.
È così facile che può capirlo chiunque:
pure la donna che in bellezza
supera tutti, Elena, il migliore
uomo del mondo
abbandonò salpando verso Troia,
scordandosi figlia, padre, madre
trascinata per mare senza memoria
dalla dèa Cipride.
] che tutto piega [
] … senza fatica [
..] ora Anattoria mi riporta in mente
che è lontana,
vorrei vedere il suo passo amato
la serena luce del suo volto caro
anziché i carri dei Lidi e armate
marce di fanti.
(Saffo, fr. 16)
***
Simile a un dio
Mi pare simile a un dio
quell’uomo che di fronte ti siede
e rapito t’ascolta parlare
con voce soave
e al tuo riso si accende di desiderio.
È questo che mi sconvolge il cuore
nel petto: appena ti vedo la parola
mi si strozza in gola,
la lingua si spezza e subito
sotto pelle mi scorre un fuoco sottile,
gli occhi più non vedono e
rombano gli orecchi,
mi ricopre gelido sudore, tremiti
mi squassano tutta, sono più verde
dell’erba, per poco non cado
morta stecchita.
Ma sopportare mi tocca…
(Saffo, fr. 31)
***
Eros mi squassa il petto,
come il vento in montagna si abbatte sulle querce.
(Saffo, fr. 47)
***
Epitalami
Come la dolce mela rosseggia in cima al ramo,
alta sul ramo più alto (se ne scordarono i raccoglitori)…
– Se ne scordarono? Ma no, raggiungerla era impossibile.
*
Su, in alto l’architrave,
imeneo,
tiratelo su, carpentieri!
imeneo,
entra lo sposo, simile ad Ares,
molto più grande di un uomo grande.
imeneo.
*
(Allo sposo) – Sposo felice, le nozze dei tuoi sogni
son fatte, è tua la ragazza dei tuoi sogni.
(Alla sposa) – Grazioso è il tuo aspetto, e gli occhi poi…
dolci, e amore s’effonde sul tuo caro volto
[…] te l’eccelsa Afrodite ha onorato.
*
ora e sempre,
nessuna mai, sposo, sarà come lei.
*
A chi, caro sposo, potrei paragonarti?
A un tenero giunco, ecco a cosa potrei paragonarti.
*
Sii felice, sposa, felice, sposo onorato, d’ogni felicità.
(Saffo frr. 105a, 111, 113, 115, 116)
***
Gli amanti
Dolce d’estate spegnere la sete con la neve, dolce
per i marinai vedere la Corona di primavera
sul finir dell’inverno, e ancor più dolce
quando la coltre copre gli amanti ed entrambi lodano Cipride.
(Asclepiade di Samo, Antologia Palatina V 169)
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Più dolce dell’amore
Niente è più dolce dell’amore – fortuna più grande
non c’è: dalla bocca sputo anche il miele.
Così dice Nosside: chi non è amato da Cipride
non sa quali rose sono i suoi fiori.
(Nosside di Locri, Antologia Palatina V 170)
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Tutta d’un fiato
Trema la coppa di dolce piacere; sì, perché sfiora
la bocca loquace della bella Zenofila.
Beata te! Magari posasse le labbra sulle mie
e mi bevesse l’anima tutta d’un fiato.
(Meleagro, Antologia Palatina V 171)
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Eros nel vino
Un giorno intrecciavo corone
ed Eros trovai fra le rose:
lo presi per l’ala piccina
e nel vino puro lo immersi,
e lo mandai giù d’un sorso.
Adesso che è dentro il cuore
con l’ala mi fa il solletico.
(Giuliano Egizio, Antologia Palatina XVI 388)
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Ad ammaliarmi bastano gli occhi
Come alla rosa non serve corona, così a te il peplo
non serve, signora, né il diadema di gemme.
Alla pelle non occorrono perle, né l’oro reca
lo splendore della tua chioma spettinata;
il giacinto selvatico racchiude l’incanto d’una luce
viva, ma impallidisce davanti ai tuoi occhi.
Tenere sono le labbra e l’armonia del tuo petto
dolce di miele è come il cinto della dea Pafia.
Da tutto questo sono travolto: ad ammaliarmi
bastano gli occhi, dove brilla dolce speranza.
(Paolo Silenziario, Antologia Palatina V 270)
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