Stellantis riparte dagli Usa, ma in borsa l’auto fa paura
ROMA – Volkswagen deve fare i conti con i dazi statunitensi e la zavorra di Porsche. Byd va bene fuori dalla Cina, ma le vendite in casa calano e penalizzano gli utili di un terzo. I conti migliori, sull’ultimo trimestre, sono quelli di Stellantis, ma il mercato, che considera l’auto un settore pericoloso, teme le prospettive e penalizza il titolo che perde l’8,8%. Il gruppo nato dalla fusione di Fca e Psa ha agganciato il treno Usa: aumenta le vendite e i ricavi che, dopo sette trimestri di ribassi, arrivano a 37,2 miliardi contro i 32 di un anno fa (+13%). Stessa performance per le consegne. Gli Stati Uniti, dove il produttore ha deciso di investire 13 miliardi di dollari, si candidano a tornare ad essere la gallina dalle uova d’oro. «Il nostro mercato più grande e più importante, dove si è ridotto da 1,5 a 1 miliardo l’effetto dei dazi», rimarca l’ad Antonio Filosa.
In Europa il comparto dell’auto continua a fare i conti con molte difficoltà. I volumi Stellantis sono più deboli nei mercati francese, italiano e in quello dei veicoli commerciali leggeri. Continua anche a soffrire Maserati. «La concorrenza è agguerrita – sottolinea Filosa – la nostra quota di mercato nella Ue 30 è scesa di 70 punti base, ma abbiamo adottato le misure necessarie per recuperarli». Ad iniziare dal lancio dei nuovi modelli, come la Compass e la 500 ibrida.


La Borsa, però, non premia la ripresa dei ricavi, facendo scivolare il titolo. Il mercato, di fronte alla conferma delle stime per fine anno, non apprezza la previsione di oneri una tantum indicati da Filosa per il secondo semestre causa i cambiamenti di scelte che il gruppo ha fatto nel corso del 2025. Oneri che gli investitori vivono come un’incognita. Filosa invece rivendica i cambi di rotta rispetto alle scelte fatte dal predecessore, Carlos Tavares: «Nel terzo trimestre abbiamo proseguito e accelerato le azioni avviate a gennaio per correggere le decisioni strategiche e operative del passato», ha detto l’ad agli analisti.


Il titolo Volkswagen, nonostante la chiusura del terzo trimestre in rosso con una perdita di circa 1 miliardo, sul mercato ha perso meno del 2%. Nei primi nove mesi del 2025 gli utili sono crollati da 8,8 miliardi a 3,4 miliardi con un calo di oltre il sessanta per cento rispetto allo stesso periodo del 2024, anche se il fatturato è salito dello 0,6% con un balzo più consistente nel terzo trimestre: +2,3%. A trascinare verso il basso il gruppo di Wolsburg è il marchio Porsche, che ha dovuto rivedere del tutto la sua strategia sull’elettrico, ma pure l’effetto dazi sul mercato Usa. E il gruppo tedesco, sull’onda del caso Nexperia, presto potrebbe trovarsi a gestire un problema di carenza di chip. Il primo stabilimento a rischiare lo stop è quello in Portogallo. E sarebbe il primo caso, mentre il fermo dello stabilimento Stellantis di Melfi di oggi, causa mancanza di componenti, non ha nulla a che vedere con la carenza di microprocessori.


Soffre anche Byd. Il colosso cinese ha chiuso con un crollo dell’utile del 32,6% (a 1,1 miliardi di dollari). A pesare sono le vendite in Cina, stagnanti, dove la guerra dei prezzi, stigmatizzata dal governo di Pechino, ha effetti negativi sui conti. Il produttore del Dragone sta però cercando di compensare le difficoltà del mercato locale con le vendite in Europa: a settembre ha venduto oltre 13.000 unità in Europa, con un aumento annuo del 272%.
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