Gli amici dei poveri a Roma
A volte capitano coincidenze che ti fanno riflettere. Ieri stavo leggendo un resoconto sulla povertà in Italia secondo la rilevazione dell’Istituto nazionale di statistica, quando mi è caduto l’occhio sul cellulare acceso su di una pagina di cronaca romana. Si parlava di un voucher per le famiglie più povere: mi interessava e l’ho lasciato lì, per leggerlo con calma appena finito con la statistica nazionale.
Ogni anno l’Istat pubblica un Report sulla Povertà in Italia e questa volta sembra che il 2024 non sia poi andato così male. La situazione è risultata invariata dal 2023, ma stavo facendo merenda e d’un tratto è diventato difficile leggere della povertà assoluta in cui vivono 5,7 milioni di persone in Italia, il 9,8% della popolazione totale, e continuare a bere tranquillo il mio tè sgranocchiando biscotti.
A vincere il premio di zona più povera è come sempre il Mezzogiorno d’Italia, dove il 10,5% delle famiglie, rispetto al 6,5% di quelle del Centro e al 7,95% di quelle del Nord, fanno fatica a mettere insieme il pranzo e la cena; a questo si aggiunge inaspettato il dato delle Isole maggiori, che passano dal già notevole 11,9% del 2023 al 13,4% del 2024.
Un altro record viene invece assegnato alla mia adorata terra d’origine: non è un record di cui la Puglia si vanti, il vincere tra le regioni come quella col maggior numero di persone in povertà relativa, totalizzando un preoccupante 14,9%. Si tratta di una povertà che non ti fa morire di fame, è sicuro, ma impedisce di accedere ad attività sociali ed economiche considerate normali in Italia.
Nel 2023 l’Istat aveva fissato in 1210,89 euro netti mensili la cifra sotto la quale due persone senza figli potessero dirsi in povertà relativa: in una nazione in cui un diplomato guadagna in media tra i 1400 e i 1600 euro netti mensili, non è per molte persone infrequente trovarcisi sotto. Un minimo di dignità è possibile mantenerla senza troppi problemi, e la speranza di migliorare può dare sollievo.
La dignità invece la toglie del tutto la povertà assoluta, non però al povero, ma a una società che non si preoccupa più di garantire ai suoi cittadini i beni di prima necessità e quei servizi essenziali di cui nessuno può vivere senza: casa, cibo e riscaldamento sono un minimo che non dovrebbe mai mancare.
La somma necessaria a garantirsi quel minimo dipende da numerose varianti: nel 2023 l’Istat considerava, ad esempio, in stato di povertà assoluta un single che vivesse a Torino con meno di 932 euro netti mensili, ma la stessa persona ce l’avrebbe fatta con soli 757 euro se si fosse trovata a Palermo, godendo anche di più numerose giornate di sole e di cannoli per me ineguagliabili (scusate, mi sono lasciato trascinare dai ricordi delle merende in Sicilia).
Sono due le spese che spesso pesano tanto da farti affondare, quelle che secondo l’Istat possono indurti a cercare lo sportello Caritas più vicino: la prima è l’affitto di casa. Sono infatti in povertà assoluta il 22,1% delle famiglie affittuarie, ma naturalmente la situazione peggiora quando in casa vi sono anche minori, nel qual caso la percentuale sale al 32,3%.
È da cinquant’anni che in Italia manca una politica degli alloggi e i risultati sono ora eclatanti: quasi 1 milione e 300 mila bambini e ragazzi vivono in stato di povertà nei nostri condomini e nelle nostre campagne. La maggior percentuale di poveri l’abbiamo però tra gli stranieri che si sono stabiliti da noi: il 35,2% delle loro famiglie vive in povertà assoluta, anche perché, oltre a tutto il resto, il 75,9% di loro vive in affitto.
Fare un figlio è la seconda causa di povertà, richiede coraggio in un paese in cui per decenni qualsiasi iniziativa a favore della famiglia è stata bollata come fascista o cattolica, e si sa che i fascisti e i cattolici hanno torto a prescindere. Il risultato è oggi quel 12,3% di famiglie con minori e 20,7% di famiglie con almeno tre figli in povertà assoluta. Da vera catastrofe umanitaria, è infine quel 46,2% di famiglie composte da stranieri con figli che nel sud dell’Italia vivono in stato di assoluta indigenza.
Quell’articolo sui voucher a Roma ce l’avevo ancora sott’occhio, ma quando ho scoperto che sul sito dell’Istat era possibile calcolare di quanto avesse bisogno una persona per non essere povera, non ho pensato ad altro e mi ci sono fiondato come su un nuovo gioco virtuale.
Due giovani sposi di età tra i 18 e i 29 anni che abbiano un solo figlio e vivano a Roma avrebbero bisogno per le loro necessità più essenziali di 1579,72 euro netti al mese. In un’Italia in cui se non è precario, non lo si chiama lavoro ma lo si definisce miracolo, nessuno si meraviglia se per qualche mese, o anche più, non ce la fai.
D’altra parte, se nutri anche un saggio desiderio di mettere qualcosa da parte, anche solo per un’eventuale visita medica presso un privato, quando il servizio sanitario te la vuole concedere solo ad avvenuto decesso, non è più per libera scelta che entrambi accettino di lavorare fuori casa, ma è solo per un elementare istinto di sopravvivenza. L’emancipazione femminile e la possibilità per le donne di svolgere mansioni diverse dalla triade pulizie-lavatrice-cucina è passata da conquista di civiltà a libera scelta di schiavitù.
Continuiamo però col nostro gioco senza distrarci. Se la nostra ipotetica coppia, raggiunta un’età tra i 30 e i 59 anni, dovesse aver generato due figli ora adolescenti, tra gli 11 e i 17 anni di età, e volesse rimanere a Roma, dovrebbe ora racimolare ogni mese 2072,48 euro solo per non cadere in disgrazia, e sempre che la casa l’abbia ricevuta per eredità o l’abbia conquistata con un’occupazione illegale (altre ipotesi sono improbabili).
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»: è un testo che dovremmo sapere a memoria, è l’articolo 36 della nostra Costituzione.
Quello che l’Istat non mette in risalto è che oltre all’affitto e al mantenimento dei figli, a impedire agli italiani un’esistenza «libera e dignitosa» è quel lavoro al quale giorno per giorno è stata tolta ogni tutela, nel quale lo sfruttamento del dipendente è considerato normale e la retribuzione, quando arriva, è spesso ridicola.
Be’, finito il gioco della povertà ho pensato di godermi l’articolo messo da parte, sperando in qualche buona notizia. L’ho letto sempre più incredulo e alla fine non sapevo se abbandonarmi alla rabbia o metterne alla berlina i tratti più comici.
In tanta diffusa povertà, diventata una condizione di vita stabile in intere zone della nostra città, il nostro sindaco Gualtieri ha trovato il modo di risolvere in un sol colpo il sovraffollamento dei canili e la solitudine dei poveri: basta regalare, a famiglie sotto i 20.000 euro annui di ISEE che adottano un gatto o un cane presso le strutture comunali, un voucher di 500 euro per l’acquisto di alimenti e accessori per cani e per gatti. Come non pensarci prima. Le famiglie saranno felici di accogliere un animale domestico e il Comune si libera del peso economico di queste bestiole.
Ecco come ci serve la notizia Patrizia Prestipino, Garante per la tutela e il benessere degli animali di Roma Capitale: «Con questa iniziativa pensiamo a chi vuole o vorrebbe adottare in cane o un gatto, ma sa di non potersene permettere il mantenimento. Adottare e amare un cane o un gatto deve essere un diritto di tutti e per questo Roma Capitale sosterrà queste adozioni nei canili e nei rifugi convenzionati, per far sì che l’amore sia un diritto di tutte e di tutti».
L’idea di cui la garante va così fiera è, per dirla altrimenti, di spostare il peso del mantenimento dei cani e dei gatti sulle spalle delle famiglie più povere, pur sapendo sin dall’inizio che non saranno in grado di mantenerli una volta finiti i soldi del voucher. A chi ha difficoltà a nutrire sé stesso e i propri figli, il Comune garantisce sì il cibo, ma solo al cane o al gatto, e solo per qualche settimana e poi basta. Sarà inevitabile o l’aggravarsi della povertà di quella famiglia o l’abbandono in mezzo alla strada del nostro amico animale.
Per questa splendida idea mi è sembrato che la garante si aspettasse l’applauso e il riconoscimento di tanta loro intelligenza e bontà. Forse per la garante fa parte dell’amore come «diritto di tutte e tutti» il dolore di chi si affeziona a un animale ma non ce la fa a mantenerlo, e il rinnovato dolore di chi già una volta era stato abbandonato in mezzo a una strada.
E allora prendiamoci anche questo diritto. È così d’altronde che si combatte la povertà di questi tempi qui a Roma. Mi scuserete però se questa volta non rido.
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