Recensione Leggende Pokémon: Z-A: Nintendo ha toppato?
Recensione Leggende Pokémon: Z-A
Lo sappiamo bene: su Leggende Pokémon: Z-A si è già detto di tutto. I voti sono usciti, i meme pure, e di sicuro molti di voi hanno già deciso se metterlo o meno nella lista dei regali di Natale. Ma proprio per questo, arrivare dopo ci sembra quasi un vantaggio.
Abbiamo avuto tempo di giocarci fino in fondo, di perderci nei suoi vicoli dalle texture in bassa risoluzione, per capire davvero di che pasta è fatto. E, dopo tante ore passate con le Poké Ball in mano, possiamo dirlo anche noi: chiunque stia dicendo che Z-A è divertente, ha ragione.
Il suo assuefacente loop rapisce, spinto da una formula che funziona da trent’anni, e che in Z-A, a suo modo e con alcune diversità, tiene insieme un gioco che per ogni passo in avanti ne fa due indietro.
C’è un’idea chiara dietro Leggende Pokémon: Z-A, ma è come se la realizzazione cercasse continuamente di metterle i bastoni tra le ruote. Eppure, quando ti lascia libero di fare ciò che gli riesce meglio, ti ricorda perché questa serie, nonostante tutto, continua a esercitare un fascino unico.
Scheda videogioco
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Publisher
 Nintendo
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Sviluppatore
 Game Freak
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Genere
 Gioco di ruolo
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Numero giocatori
 Su una sola console (1), Wireless in locale (2-4), Online (2-4)
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Lingua
 Testi in italiano
- Disponibile su
Il ritorno delle Leggende
      
Per chi non lo sapesse, Leggende Pokémon: Z-A è il nuovo capitolo della sotto-serie Leggende, uno spin-off della saga principale che aveva debuttato con Leggende Pokémon: Arceus. Una serie parallela quindi, nata per dare una ventata d’aria fresca al mondo Pokémon. E con Arceus, in effetti, quella ventata era arrivata.
Nonostante i suoi problemi tecnici evidenti, Arceus ci era piaciuto, perché aveva un ritmo più snello, un sistema di combattimento che svecchiava la formula classica ed un loop di cattura soddisfacente, capace di tenerti incollato per ore. Era un titolo ruvido, sì, ma pieno di buone idee e di un’energia che faceva ben sperare per il futuro di questa linea alternativa, che in qualche modo ha contaminato anche la serie principale con Scarlatto e Violetto, purtroppo uscito su Switch in condizioni pietose, in buona parte risolte con la versione Switch 2.
Proprio per questo, Leggende Pokémon: Z-A era uno dei giochi più attesi.
Sono passati tre anni da Arceus, e in questi tre anni ci siamo immaginati un’evoluzione naturale, un seguito capace di raccogliere l’eredità di Arceus, sistemarne le ingenuità e finalmente offrirci un comparto tecnico, grafico e artistico all’altezza dell’idea. Purtroppo, si sa, questa cosa non è successa.
      
Leggende Pokémon: Z-A dà continuamente la sensazione di essere stato realizzato con una consapevolezza del risparmio. Non parliamo solo di limiti tecnici, anche perché quantomeno su Switch 2 il gioco gira bene, ma di un approccio generale, poiché pare un progetto che sembra portato avanti con poche risorse, o con la paura di osare davvero.
È difficile capire se a mancare siano le competenze o semplicemente il tempo e i mezzi del team di sviluppo, ma il risultato è un titolo che alterna intuizioni brillanti a momenti di evidente povertà realizzativa.
E il paradosso è proprio questo: per ogni elemento che ti fa intravedere cosa Leggende Pokémon: Z-A avrebbe potuto essere, ce n’è un altro (o due) che ti riporta bruscamente a terra.
Il concept di base, cioè ambientare l’intera avventura in una sola città, è un esempio perfetto di questa doppia anima: una scelta rischiosa e affascinante da un lato, limitante e soffocante dall’altro. Eppure, dentro questa città, qualcosa funziona davvero bene…
Luminopoli, la città dei Lumi (spenti)
      
L’avventura di Leggende Pokémon: Z-A si svolge interamente a Luminopoli, una reinterpretazione Pokémon di Parigi, la “città dei Lumi”, qui un bel po’ meno luminosa del previsto.
Noi interpretiamo un viaggiatore, un turista, che finisce quasi per caso in questa metropoli. Dopo un arrivo piuttosto ordinario, ci ritroviamo ospiti di un hotel e, dopo prolissi preamboli, coinvolti in un mistero che scuote la città, quello delle MegaEvoluzioni Ferox, versioni incontrollabili e potenziate dei Pokémon, che stanno causando disordini ovunque. Spetta a noi indagare sull’origine di questi spasmi di energia e capire cosa, o chi, li stia generando.
Sul piano narrativo, Z-A non è un disastro, ma neanche un passo avanti.
C’è qualche trovata simpatica, qualche momento ironico riuscito, e alcuni personaggi che sarebbero pure potuti essere interessanti, se la scrittura non fosse stata prolissa e banale, resa ancor più faticosa da una regia fredda e statica di ogni sequenza.
Le scene si limitano a pochi movimenti di camera, senza doppiaggio nemmeno nelle scene chiave, cosa a dir poco scandalosa in una produzione del genere, che in passato ha pure dimostrato di saper raccontare anche temi maturi: basti pensare alle sfumature etiche e politiche di Pokémon Nero e Bianco, che sono andate ormai perdute. E in un gioco come Z-A, che avrebbe potuto usare la città per raccontare storie più personali o intime, dispiace non si sia provato a raccontare qualcosa in maniera diversa, o quantomeno con uno stile diverso.
Barricati
      
Paradossalmente, però, la formula respira un’aria nuova nella città. Sia chiaro, in Arceus avevamo apprezzato la svolta verso il tempo reale: senza transizioni, solo tu, la Poké Ball e il Pokémon davanti a te.
Ti nascondevi nei cespugli, miravi, lanciavi e, con un pizzico di fortuna, la cattura riusciva senza neanche dover combattere. Era un sistema veloce, diretto, finalmente capace di rompere la lentezza appiccicosa storica della serie.
E in Z-A il sistema non viene stravolto, ma rivisto. Non diremmo migliorato, ma adattato ad un contesto nuovo, quello urbano. Qui l’esplorazione non si estende in grandi regioni aperte come in Arceus, perché tutto avviene dentro Luminopoli, e a prima vista può sembrare un limite. In realtà, almeno all’inizio, non lo è affatto. Il gioco suddivide la città in una serie di micro-ecosistemi, le cosiddette zone selvagge, cioè aree erbose, innevate, rocciose, ognuna con le proprie creature e le proprie piccole diversità. È un’idea interessante, perché condensa il ritmo: non devi attraversare mappe, aprire menù o spostarti tra regioni, vai direttamente dove vuoi, sai quali Pokémon troverai, e in pochi minuti stai già catturando.
      
Si tratta di un approccio diverso, più schematico e meno romantico dell’esplorazione libera, ma nel suo piccolo funziona. Ti costruisci la squadra, sperimenti, e tutto scorre in modo rapido e soddisfacente, anche se la cattura, anziché evolversi rispetto ad Arceus, si è ulteriormente semplificata. Non ci sono più bacche o piccoli espedienti per attirare o distrarre i Pokémon, niente pianificazione, niente studio dei comportamenti o dei momenti della giornata. Ora si entra in una zona, si lancia una Poké Ball dietro l’altra e si passa alla successiva. Sarà di sicuro funzionale e condensato, eppure svuota completamente il senso dell’esplorazione, che diventano solo un gesto meccanico, una sequenza di catture senza troppo peso, in cui i Pokémon finiscono per sembrare figurine più che creature.
C’è anche una netta alternanza tra giorno e notte, che struttura il gameplay in modo più preciso, perché di giorno ci si dedica alla cattura e all’esplorazione delle zone selvagge, e di notte, invece, si aprono le zone di lotta, arene urbane dove si affrontano allenatori per accumulare punti, salire di rango e sbloccare nuove missioni.
Gli allenatori da affrontare sono però sempre gli stessi, con due o tre Pokémon ciascuno e strategie timidissime. L’unico incentivo reale è collezionare carte speciali che spingono a usare determinati Pokémon per ottenere bonus di punteggio, e quindi più soldi, utili per acquistare oggetti o vestiti per il proprio personaggio.
Il miscuglio tra giorno e notte, quantomeno nelle prime ore, riesce a dare al gioco quella sensazione di assuefazione che solo Pokémon sa creare: la voglia di ottimizzare la squadra, migliorare le statistiche, sperimentare nuove combinazioni. Il problema è che questo equilibrio non regge a lungo, e, dopo un po’, il fascino del loop inizia a incrinarsi.
Tutto a metà
      
Il combattimento è in tempo reale, e sulla carta rappresenta una delle scelte più coraggiose fatte da Game Freak negli ultimi anni. E finalmente si ha la sensazione di essere davvero un evocatore, di lanciare i propri Pokémon sul campo senza più interruzioni, finestre di testo o tempi morti.
Non ci sono frasi a scandire l’inizio o la fine delle mosse, non ci sono pause tra un’azione e l’altra. Con le frecce direzionali si cambia Pokémon al volo, lo si richiama o lo si rilancia immediatamente, e tutto questo rende il ritmo di gioco più dinamico, più veloce, più piacevole.
Tutto questo, tuttavia, è un concept più solido sulla carta che sullo schermo, perché semplicemente non è stato approfondito abbastanza, e alla lunga si rivela piatto e ripetitivo. Detto in soldoni, quasi tutti i combattimenti si consumano nello stesso modo: lanci sul terreno il Pokémon dell’elemento opposto e spingi a ripetizione le mosse super efficaci. Le abilità di supporto, i debuff, le strategie più tecniche non servono praticamente a nulla. Conta solo infliggere il danno più alto nel minor tempo possibile prima che lo faccia l’avversario, e il gioco finisce per premiare chi sceglie i Pokémon più resistenti a livello vitale e con le mosse più potenti.
È un dispiacere, perché la base c’è, c’è il ritmo, la sensazione di immediatezza, la fluidità dell’azione sono convincenti. Ma il sistema non ha profondità, e, come detto, tutto si riduce ad un semplice esercizio di potenza. Si continua a catturare e a lottare, sì, ma più per inerzia che per strategia. Per dire, una delle chicche più comode riguarda la gestione delle mosse, perché ogni Pokémon può equipaggiare quattro abilità, ma non serve più dimenticarle. Dal menù di gestione è possibile scambiarle in qualsiasi momento tra quelle apprese, che vengono ora schematizzate in modo chiaro e intuitivo.
Le abilità extra si ottengono tramite le MT, che si collezionano lungo l’avventura o si sbloccano attraverso il sistema di progressione notturna, ma per quanto il sistema sia stato ben schematizzato, di fatto non cambia molto l’approccio al gioco.
Le mosse base dei Pokémon restano spesso le più efficaci, e la bassa difficoltà generale fa sì che non si senta mai davvero il bisogno di sperimentare con build o combinazioni più complesse.
      
Anche il posizionamento ha una valenza relativa. Certo, il raggio d’azione di abilità specifiche richiede al giocatore di spostarsi, questo è vero, ma lo si fa più per evitare che il Pokémon si incastri in qualche elemento che per strategia.
E poi l’intelligenza artificiale degli avversari, che sia Pokémon selvaggi che allenatori, è pressoché inesistente, in quanto non segue vere strategie, si limita a fare il minimo indispensabile ed è raro, rarissimo che sorprendano magari con un cambio Pokémon o un comportamento diverso dal solito attaccato.
E ancora, lo starter scelto, il Pokémon iniziale per intenderci, continua dominare la scena. A meno che non vi imponiate di lasciarlo in panchina, finirà per spazzare via qualunque nemico con un paio di colpi per buona parte dell’avventura, della durata di circa 25 ore, per poi richiedere un po’ più d’attenzione nella fetta finale.
Insomma, Game Freak, ancora una volta, sembra non preoccuparsi del bilanciamento, come se la difficoltà non fosse una priorità.
Così, quello che doveva essere un sistema dinamico e reattivo, si riduce ad una danza prevedibilissima, dove l’azione in tempo reale non basta a creare molta varietà. Le basi per qualcosa di davvero nuovo ci sono, funzionano sebbene rattoppate, solo che restano lì, abbozzate, incomplete, come se mancasse il coraggio (o il tempo) per portarle fino in fondo.
Le Mega Evoluzioni
      
Alla fine della fiera, molto del divertimento deriva proprio dalle già citate MegaEvoluzioni. Ad un certo punto dell’avventura, sbloccherete la possibilità di far evolvere temporaneamente alcuni dei vostri Pokémon tramite una gemma speciale. E sì, “alcuni”: perché solo una parte del Pokédex può effettivamente accedere a questa trasformazione, una limitazione che lascia inevitabilmente un po’ di amaro in bocca.
Durante i combattimenti, un indicatore si carica gradualmente e, una volta pieno, basta premere un tasto per attivare la MegaEvoluzione.
Il Pokémon cambia forma e ottiene un potenziamento momentaneo delle proprie mosse. Diverse trasformazioni sono visivamente riuscite, come quella di Emboar, che diventa un vero e proprio sovrano del fuoco, imponente e scenografico. In quei momenti Z-A riesce persino a farti credere, per un attimo, che qualcosa di grande stia davvero accadendo.
Le MegaEvoluzioni Ferox, invece, rappresentano la versione “impazzita” di questo concetto, e sono di fatto boss fight contro Pokémon fuori controllo. Qui il combattimento si fa leggermente più articolato, perché il Pokémon nemico tende spesso ad attaccare direttamente anche l’allenatore, costringendovi a schivare i colpi tra una mossa e l’altra, come accadeva in Arceus. Solo che, come era appena accennata lì, lo è anche in Z-A.
Le Ferox eseguono bene o male sempre gli stessi pattern, stalattiti di ghiaccio, saette, globi di energia. Cambiano gli effetti, sì, ma non il ritmo, e dopo la seconda o terza boss fight tutto inizia a sembrare uguale.
La difficoltà non cresce, la strategia non cambia, e spesso la durata di questi scontri si allunga inutilmente, specialmente se non si utilizza un Pokémon dell’elemento opposto.
Si intuisce chiaramente cosa Game Freak volesse fare, ovvero costruire battaglie più cinematografiche, con identità e meccaniche proprie per ogni Mega Evoluzione Ferox. Ma, come avrete capito nelle altre meccaniche illustrate, l’idea resta a metà: affascinante da immaginare, ripetitiva da giocare.
Soffocato dai limiti
      
I limiti del progetto si vedono, eccome. È paradossale, perché la formula Pokémon resta tuttora solida: è un sistema di gioco che continua a funzionare, continua a divertire, perché affonda le radici in meccaniche nate decenni fa ma ancora capaci di intrattenere. Eppure, Leggende Pokémon: Z-A dà costantemente l’impressione di avere in mano gli strumenti giusti per fare un passo avanti, senza però riuscire davvero a usarli fino in fondo.
Qua e là si intravedono quegli spasmi di creatività, quelle idee che potevano essere sviluppate meglio: le battaglie due contro due, ad esempio, ma vengono appena sfiorate; le fasi platform guadagnano un pizzico di verticalità grazie alla nuova “planata”, una sorta di doppio salto reinventato, ma sono elementari e poco ispirate. Persino le missioni principali finiscono per deludere, perché si riducono sempre alle stesse poche attività, cioè sconfiggere qualche MegaEvoluzione Ferox, affrontare allenatori nella zona di lotta, parlare con un certo personaggio.
La mancanza più grave, però, è l’assenza di veri dungeon. Ce ne sono soltanto due in tutto il gioco, e anche questi risultano costruiti con poca cura, lineari, senza identità.
Il problema di fondo è che tutto Leggende Pokémon: Z-A si ambienta all’interno di una sola città, Luminopoli, un’idea affascinante sulla carta, ma che crolla quando ci si rende conto che questa città non è affatto interessante da esplorare.
      
Luminopoli non è bella, e non lo è in nessun senso. Visivamente è povera, graficamente è oscena, con texture piatte, modellazioni rozze, luci spente. I personaggi che la popolano sembrano senza vita, immobili, con giusto qualcuno che ogni tanto si muove in modo meccanico per simulare un minimo di vitalità.
Ci sono vicoli, tetti, scorci che dovrebbero invogliare all’esplorazione, ma non lo fanno mai davvero. Ogni tanto si trova una Poké Ball, qualche vite colorata da raccogliere come valuta speciale per sbloccare bonus passivi, ma la verità è che l’esplorazione non è mai troppo gratificante, perché è brutta da vedere.
Sì, si può salire sui tetti. Sì, ci sono piccoli enigmi ambientali, come rocce da rompere con mosse dei Pokémon, ammassi di sporcizia da pulire con l’acqua. Ma tutto sembra abbozzato, provvisorio, come se fossero rimasti solo i placeholder di meccaniche che avrebbero dovuto essere approfondite e rifinite.
E così Luminopoli, che avrebbe dovuto essere il cuore pulsante di Leggende: Pokémon Z-A, finisce per essere la sua più grande delusione: una città spenta, che non trasmette la gioia, la curiosità e la magia che da sempre rappresentano il mondo Pokémon.
Un peccato, perché i Pokémon in sé sono ancora vivi, abbastanza ben animati, pieni di carattere. Le loro animazioni sono più curate rispetto al passato, i modelli anche più convincenti, nonostante non al passo con i tempi. In generale i personaggi non sono così male, ma tutto ciò che li circonda, il mondo, le persone, l’atmosfera, è talmente trascurato da annullarne la vitalità. Solo gli interni riescono quantomeno a superare la soglia della decenza, e ad essere anche discreti, ma ce ne sono così pochi che quasi si stenta a crederci che ne abbiano implementati, appunto, così pochi.
Prezzo e disponibilità
Leggende Pokémon: Z-A è stato lanciato al prezzo di 59,99€ in versione Nintendo Switch e a 69,99€ in quella Nintendo Switch 2, cifra davvero eccessiva rispetto ai valori produttivi. I possessori della prima console possono effettuare l’upgrade alla versione Switch 2 tramite un pacchetto a 9,99€. Il miglioramento visivo è misero, trascurabile se non fosse stato per il miglioramento della fluidità, sicuramente visibile.
Il codice digitale Nintendo Switch per questa recensione è stato fornito da Nintendo, che non ha avuto un’anteprima di questo contenuto e non ha fornito alcun tipo di compenso monetario. Potete leggere maggiori informazioni su come testiamo e recensiamo dispositivi su SmartWorld a questo link. Il pacchetto per Nintendo Switch 2 è stato acquistato a parte dal redattore.
Su alcuni dei link inseriti in questa pagina SmartWorld ha un’affiliazione ed ottiene una percentuale dei ricavi, tale affiliazione non fa variare il prezzo del prodotto acquistato. Tutti i prodotti descritti potrebbero subire variazioni di prezzo e disponibilità nel corso del tempo, dunque vi consigliamo sempre di verificare questi parametri prima dell’acquisto.
Giudizio Finale
Leggende Pokémon: Z-A
Leggende Pokémon: Z-A non è un brutto gioco. Anzi, siamo certi che molti di voi, se lo proveranno, sapranno divertirsi, perché il piacere di catturare, di allenare, di scoprire nuove creature è ancora lì, e quel loop, quel ritmo familiare di ricompense e progressi, riesce a generare assuefazione. Lo ha fatto anche su di noi, nonostante tutto. Ma il problema è un altro, cioè che la gente è stanca. Stanca di vedere un brand che potrebbe essere un simbolo, un punto di riferimento per tutto il genere dei giochi di collezione di mostri, e che invece continua ad arrancare. Perché quando si parla di Nintendo, molto spesso si parla di eccellenza, l’eccellenza dei platform, delle avventure, del party game. Pokémon, per un momento, lo è stato, l’eccellenza del monster collecting. Oggi non lo è più, non lo è più da troppo tempo. Sì, ci sono le vendite, ci sono i numeri, e va bene così, ma fino a un certo punto. Perché Leggende Pokémon: Z-A è un gioco in cui il valore lo vedi, lo senti, lo intuisci ad ogni idea interessante, ad ogni piccolo spunto che emerge qua e là, solo che manca la visione e, soprattutto, la realizzazione per tenerli insieme. E quando mancano, anche il divertimento diventa effimero.
Voto finale
Leggende Pokémon: Z-A
Pro
- Luminopoli condensa ancora meglio il loop del gioco…
- Il combattimento in tempo reale è molto più dinamico…
- Diverse migliorie alla storica formula…
- La distinzione tra giorno e notte per un po’ funziona
Contro
- … che però poi lascia spazio alla poca profondità
- … ma anche meno bilanciato rispetto al passato
- … lasciate a metà
- Tolti gli interni e i personaggi, il resto è visivamente brutto
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