Clima e metano, il mondo rallenta sulla rotta di Parigi
Ridurre il metano è uno dei modi più rapidi per rallentare il riscaldamento globale, ma governi e imprese stanno ancora reagendo troppo lentamente. A dirlo è il nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), l’agenzia Onu che coordina le politiche ambientali mondiali e monitora lo stato del pianeta, in vista della Conferenza Onu sul clima (Cop30), che si terrà a novembre a Belém, in Brasile.
Secondo il documento, le risposte alle oltre 3.500 allerte satellitari inviate dal Methane Alert and Response System (Mars) — la piattaforma globale dell’Unep che individua e segnala in tempo reale le grandi emissioni di metano nell’atmosfera — sono salite dall’1% al 12% nell’ultimo anno: un progresso, ma ancora insufficiente.
I satelliti rilevano picchi dovuti, ad esempio, a una perdita da un impianto, una miniera o una discarica. Mars elabora i dati e li trasmette ai governi e alle aziende coinvolte. Tuttavia, ammette Unep, quasi nove segnalazioni su dieci restano senza risposta, perché in molti Paesi mancano protocolli obbligatori o capacità tecniche per intervenire rapidamente: la tecnologia corre più veloce della risposta politica e industriale.
Sul fronte della trasparenza, l’Oil and Gas Methane Partnership 2.0 (Ogmp 2.0) — il programma promosso dall’Unep con la Commissione europea per migliorare la riduzione del metano nel settore petrolifero e del gas — è oggi adottato da 153 aziende in tutto il mondo, pari al 42% della produzione globale. L’iniziativa, nata come partenariato volontario, stabilisce standard comuni per la misurazione diretta e verificabile delle emissioni, con livelli di accuratezza che culminano nel “Gold Standard”, il più rigoroso.
Intanto, l’Imeo, l’Osservatorio internazionale dell’Agenzia Onu, ha deciso di estendere la piattaforma Mars a miniere di carbone e siti di smaltimento rifiuti, e di lanciare un programma dedicato al settore dell’acciaio: il metano del carbone metallurgico pesa per circa un quarto dell’impronta climatica della siderurgia e può essere mitigato con soluzioni a basso costo.
L’analisi dell’Unep si inserisce in un quadro più ampio delineato dallo State of Climate Action 2025, il rapporto di World Resources Institute (Wri), Climate Analytics, NewClimate Institute, ClimateWorks Foundation e Bezos Earth Fund, che misura l’avanzamento globale verso la traiettoria 1,5 °C.
Il quadro generale è poco incoraggiante: nessuno dei 45 indicatori monitorati in 7 macroaree è “on track” (in linea con gli obiettivi) per il 2030; 29 sono “well off track” (in ritardo ma nella direzione giusta), 6 “off track” (in ritardo), 5 peggiorano e per altri 5 mancano dati sufficienti. In media, spiegano gli autori, servirebbe un’accelerazione di due-quattro volte per tornare sulla traiettoria compatibile con 1,5 °C. Le sette macroaree analizzate sono: energia e industria, trasporti, edifici, agricoltura e uso del suolo, consumi e rifiuti, adattamento e resilienza, finanza e governance.
Le emissioni globali di gas serra hanno raggiunto 56,6 GtCO2e nel 2023, crescendo in media di +0,65 GtCO2e all’anno dal 2000. Le emissioni da carbone restano il principale freno: servirebbe un phase-out dieci volte più rapido, pari alla chiusura di circa 360 centrali ogni anno fino al 2030. Anche la deforestazione deve ridursi a un ritmo nove volte più veloce.
Sul versante delle politiche, il rapporto registra 62 nuovi Ndc presentati entro ottobre 2025 — pari al 31% delle emissioni globali — che, se pienamente attuati, ridurrebbero le emissioni del 2035 di 1,3–1,6 GtCO2e e rispetto ai precedenti impegni. Gli Ndc (Nationally Determined Contributions) sono i piani climatici nazionali previsti dall’Accordo di Parigi: fissano obiettivi di riduzione, strategie di adattamento e strumenti finanziari. Ma il divario da colmare per allinearsi alla traiettoria 1,5 °C resta enorme: 26,6–29,9 GtCO2e al 2035, secondo il database Climate Watch 2025.
La finanza climatica è l’altro tallone d’Achille. Per restare entro 1,5 °C serviranno investimenti annui in mitigazione e adattamento stimati tra 6,9 e 11 trilioni di dollari entro il 2030. I flussi globali sono raddoppiati dal 2019 al 2023 fino a 1,9 trilioni, ma dovranno accelerare quattro volte per centrare l’obiettivo. La componente pubblica resta troppo bassa, quella privata cresce ma non abbastanza rispetto alla scala del cambiamento richiesto. Nel complesso, lo studio stima che il rapporto fra investimenti low-carbon e fossili debba moltiplicarsi per sette entro il 2030 (oggi circa 1,1:1).
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