Le nozze dello scandalo degli Ayatollah
L’autunno degli ayatollah è nel décolleté per nulla casto di un abito nuziale, nello scatto di un breve video comparso su X pochi giorni fa: ritrae la bella Fatemeh Shamkhani, figlia di Alì, uno dei consiglieri più vicini alla guida suprema iraniana Alì Khamenei, nel giorno del suo matrimonio.
A quanto se ne sa le nozze si sono svolte addirittura in primavera, ma è bastato che le immagini comparissero ora su un social per scatenare un mare di commenti e proteste. Niente hijab obbligatorio, l’abito femminile che Khomeini chiamava la “bandiera della rivoluzione”, nessuna traccia di quella “modestia islamica” che gli ayatollah impongono alle donne del popolino a forza di frustate e bastonate.
Nelle immagini Fatemeh indossa un abito bianco, di classico taglio occidentale, aderente al punto giusto da valorizzare maliziosamente scollatura e forme del corpo: potrebbe essere una ragazza italiana o spagnola o addirittura, perchè no, americana. La madre, che compare in alcune inquadrature, sfoggia una scollatura poco meno generosa.
Suo malgrado il video è già diventato un simbolo. Dell’ipocrisia e dell’impotenza di una classe dirigente: da quasi 50 anni l’Iran è prigioniero di un’ideologia teocratica che ha soffocato la forza e l’intelligenza di un popolo erede di una civiltà millenaria. Ma repressione e frustate ormai non bastano: intellettuali, le giovani della classe media, perfino le figlie degli esponenti in vista del regime non rispettano più i dettami di quello che appare a tutti un ordinamento medioevale. “Ormai i patriarchi putativi dell’Iran controllano le loro donne così come gli spazi aerei del Paese”, ha scritto su Foreign Affairs Karim Sadjadpour, analista del Carnegie Endowment of Peace.
Sì, perchè alla perdita di credibilità interna ha corrisposto nel corso del 2025 il crollo della rete di alleanze e dei sogni di grandezza che gli ayatollah hanno nutrito per anni. La fine di Hezbollah e di Hamas ha privato Teheran di una qualsiasi presenza significativa nell’intero Medioriente. Non solo: in giugno i 12 giorni di attacchi israeliani (e americani) hanno messo in luce il bluff degli ayatollah. Il Paese che un tempo aveva ambizioni di potenza regionale non può più nascondersi: è poverissimo, la sua moneta non vale più nulla, la popolazione fa fatica ad arrivare a fine mese, le forze di sicurezza non sono minimamente in grado di resistere a un nemico esterno ma hanno ormai un’unica funzione: schiacciare e reprimere le richieste di libertà che arrivano ormai da tutti i ceti sociali.
L’Iran di oggi è come l’Unione Sovietica della fine degli anni Ottanta, ha scritto il già citato Sadjadpour: una facciata minacciosa dietro la quale non c’è nulla se non la vitalità di un popolo stanco della teocrazia. E gli esponenti del regime usano la stessa “lingua di legno” che era propria della nomenklatura sovietica: concetti stereotipati, evasivi e privi di senso concreto, che servono solo a evitare di fare i conti con la realtà.
Il suono della voce tremolante di Alì Khamenei che, dopo i bombardamenti, nascosto in qualche bunker ben sorvegliato, registra un messaggio di vittoria sul Satana israeliano assomiglia ai comunicati che il regime pubblica oggi per tenere sotto controllo lo scandalo dell'”abito nuziale”.
La sposa teneva la testa bassa, erano presenti solo donne e parenti stretti, dichiara Ezzatollah Zarghami, ex numero uno della tv di Stato. E tutta l’operazione, aggiunge, è opera dei servizi segreti israeliani: “Intromettersi nella vita privata degli altri è la nuova forma di omicidio usata dal nemico sionista”.
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