Puglia

Le dichiarazioni del pentito Patruno sul clan Misceo di Noicattaro

“Una stecca di Marlboro rosse, sette rose tagliate diagonali, una più corta dell’altra, la lametta, il santino, i pasticcini secchi”. La descrizione del tipico rituale mafioso, utilizzato dai clan per ‘battezzare’ qualcuno o aumentarne il livello di affiliazione, ritorna nelle parole del nuovo collaboratore di giustizia del clan Misceo, il 34enne Giuseppe Patruno, i cui atti sono stati depositati nel processo in corso dinanzi alla gup del tribunale di Bari Ilaria Casu a 69 persone, accusate di aver controllato lo spaccio di droga a Noicattaro, ma anche nei vicini comuni di Triggiano, Gioia del Colle e Bari.

Le indagini sono state condotte dal nucleo Gico della guardia di finanza e dai carabinieri, che eseguirono quattro arresti per un duplice tentato omicidio commesso a Noicattaro nel 2021. Un agguato, come è stato ricostruito dalle indagini, che si inserisce nelle frizioni tra il clan Misceo e il clan rivale Annoscia per il controllo dello spaccio sul comune di Noicattaro. Di questo e di tanto altro ha parlato Patruno, affiliato al clan Misceo con il grado di ‘terza’, ma “promesso di quinta”, come lui stesso ha spiegato al pm antimafia Fabio Buquicchio. Ha elencato ruoli e spiegato dinamiche, in particolare i legami affaristici con il clan Palermiti del quartiere Japigia di Bari, rivelato nascondigli di armi e, tra l’altro, ha svelato come le donne dei detenuti riescono a recapitare in carcere le schede telefoniche, nascondendole sotto i francobolli delle lettere inviate.

E ancora, Patruno ha confermato che gli ordini arrivano dal carcere grazie all’utilizzo di telefonini criptati con la tecnologia Sky ECC e ricostruito l’omicidio del 2021: “Il mandante è Giuseppe Annoscia – ha spiegato – I suoi sodali non avrebbero mai agito senza metterlo a conoscenza. Nella sparatoria del 2021 Pietro Barbetta aveva il ruolo dell’organizzatore assieme a Patruno Michele. Era molto vicino a noi del clan Misceo. Dopo la sparatoria si confidò con noi che non era favorevole alla sparatoria nei nostri confronti. Penso che il giorno della sparatoria lui ci abbia venduto agli Annoscia. Il motivo scatenante era una casa popolare che Barbetta fece occupare a Vittorio Rotondi ed un altro soggetto. La casa – ha aggiunto – era stata già promessa a Luca Belfiore il quale aveva le chiavi. Barbetta mise in dubbio la parola di Belfiore e durante la discussione ricevette uno schiaffo da Belfiore stesso. Da lì in poi si misero in mezzo i Patruno e Toni Fanelli i quali commisero il tentato omicidio nei confronti di Belfiore e Saponaro. Io corsi a prendere delle armi ma era troppo tardi. Ebbi poco dopo l’occasione di sparare Pietro Barbetta ma non lo feci in quanto era presente la moglie ed altre persone tra cui delle donne”, ha concluso.




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