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“Trump, un fesso”: la derisione russa che diventa strumento geopolitico

Sulle televisioni controllate dal Cremlino la figura di Donald Trump non è più trattata come quella di un interlocutore autorevole. È diventata oggetto di scherno, imitazioni e battute che colpiscono direttamente la sua credibilità. Due mesi dopo il vertice di Anchorage, quando i media russi lo avevano presentato come “la parte ragionevole dell’Occidente”, le stesse emittenti hanno cambiato registro. Oggi Trump viene descritto come un leader confuso, in balia di Putin, ridicolizzato persino per le sue capacità cognitive.

Nelle trasmissioni di Vladimir Solovyov e Olga Skabeeva, le voci più potenti della propaganda russa, Trump è deriso apertamente. In una puntata di Rossiya-1, Solovyov lo imita maldestramente, cercando di riprodurne il tono di voce mentre dice: “Sto pensando di rifornire l’Ucraina di missili Tomahawk, ma prima devo parlarne con Putin“. La risata generale in studio non lascia spazio a dubbi: la scena è costruita per umiliarlo. Poco dopo un ospite si spinge oltre, chiamandolo “un fesso, ma un incomparabile, eccezionale, inimitabile fesso“. Le risate del pubblico e gli applausi dei deputati di Russia Unita presenti in studio suggellano la trasformazione di un ex alleato di convenienza in una caricatura.

La derisione non è un fatto isolato. È diventata parte del linguaggio politico del Cremlino, che attraverso la televisione misura la distanza simbolica da Washington. Quando in agosto Trump era stato descritto come l’unico occidentale capace di parlare con Putin, i messaggi diffusi dalle emittenti erano calibrati con cautela, in attesa di capire fino a che punto gli Stati Uniti avrebbero spinto sull’invio di armi a Kiev. Oggi quella prudenza è sparita. Da giorni i programmi principali della tv di Stato presentano un Trump che vacilla, che promette ma non agisce, che annuncia decisioni militari solo per poi ritrattarle. L’immagine di un presidente incerto è funzionale a una narrativa precisa: quella di un’America che non comanda più.

Questo cambio di tono arriva mentre Putin consolida la propria posizione internazionale. Dopo la riunione del cosiddetto “Nuovo Mondo multipolare” a Pechino, il Cremlino si sente libero di trattare la relazione con gli Stati Uniti in termini di forza e non più di diplomazia. La stessa agenzia Ria Novosti sottolinea che i rapporti tra Putin e Xi Jinping sono ormai di natura strategica, impermeabili alle oscillazioni americane. In questo contesto, Trump non è più utile come volto “ragionevole” dell’Occidente. È diventato un bersaglio perfetto per dimostrare quanto poco contino ormai le parole di Washington.

Negli ultimi giorni le emittenti russe hanno trasmesso persino barzellette su un immaginario incontro tra Trump e Putin a Budapest. “Prenditi pure l’Alaska”, scherza il conduttore, “ma finisci questa guerra”. Le risate in studio confermano che la deferenza di un tempo è stata sostituita da un sarcasmo corrosivo. In un Paese dove la critica ai potenti è ancora rigidamente controllata, il fatto che simili battute siano diffuse in prima serata mostra che la linea politica è cambiata.

Il nuovo messaggio è chiaro: Putin appare come il regista che muove i fili, Trump come un attore spaesato. In questo modo la propaganda russa trasforma la satira in un’arma di potere. La risata, in televisione, diventa lo strumento con cui Mosca misura la propria superiorità.

E nella cornice di una guerra che continua e di una diplomazia sempre più fragile, la barzelletta su Trump racconta molto più di quanto sembri: la convinzione, dentro la Russia di oggi, che l’America non faccia più paura.


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