Società

L’ultima resistenza di Richard Prince

Col senno di poi, Prince riconosce una certa logica in tutto questo. «Il problema di quel tipo di protesta è che sei in troppe collezioni», mi dice. «Prima di tutto, non sai chi possiede i tuoi lavori. E poi, inevitabilmente, sono di proprietà di persone che fanno parte di quel paesaggio. Potresti passare un’intera giornata a occuparti della questione».

Quando si tratta di politica, Prince sostiene che le sue amiche, le artiste Jenny Holzer e Barbara Kruger, «lo fanno meglio, e con più coerenza». Eppure, in modi indiretti ma costanti, nel modo in cui reagisce ai sistemi che regolano l’America, Prince è un artista profondamente politico e forse uno dei più adatti a questo tempo di disincanto e profondo cinismo.

«Da un lato, sembra non fregargliene nulla, dall’altro, si capisce che ha a cuore l’etica, la democrazia, la libertà di parola, tutti valori fondamentali che ci piace pensare siano ancora nascosti da qualche parte in questo Paese», mi dice Nancy Spector, apprezzata curatrice di diverse mostre di Prince, con ruoli direttivi prima al Guggenheim e oggi al Brooklyn Museum di New York. «Richard si identifica nei suoi hippie drawings. Si riconosce nella controcultura del ’68, è contro la guerra. Quella fase è stata davvero parte della sua formazione intellettuale. Per questo la volontà di sfidare il sistema è assolutamente autentica nel suo lavoro».

Una conferma diretta mi viene da Prince: «Mangio politica, dormo politica, ma non bevo politica. La mia esperienza è sempre stata: dipingere la protesta».

L’opera di Prince, alla radice, indaga con onestà la pancia dell’America di oggi, e in questa «seconda era Trump» suona più attuale che mai. Soprattutto ora che il presidente ordina a un’istituzione pubblica come lo Smithsonian di prendere le distanze da «narrazioni che ritraggono i valori americani e occidentali come intrinsecamente dannosi e oppressivi».

Visito il complesso segreto, isolato e remoto di Prince nei Catskills – un vero e proprio insediamento dalle dimensioni di una cittadina – in compagnia del direttore dello studio dell’artista, Matthew Gaughan, e di due assistenti, mentre il sole tramonta dietro le montagne, e mi rendo conto che sto vivendo una delle esperienze culturali più straordinarie della mia vita. Sono fortunato.

Pochissime persone hanno visto il feudo artistico di Prince a Rensselaerville. La prima volta che salì quassù fu per una battuta di pesca insieme all’artista Peter Nadin. Si persero e finirono a Rensselaerville, un villaggio con una sola strada risalente all’epoca coloniale.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »