Salute

Dovremmo chiamarlo 4,4xmille, visti i milioni che finiscono nelle casse dello Stato

“Gli italiani in realtà non versano più il 5 per mille. Dovremmo chiamarlo 4,3 per mille, visti i milioni che finiscono nelle casse dello Stato invece che in quelle delle associazioni. Bisognerebbe che questa presa in giro finisse, anche perché con quei soldi si realizzano progetti essenziali: noi di LAV, ad esempio, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio finanziamo un ambulatorio di veterinaria sociale per gli animali delle persone che vivono in condizioni di fragilità sociale”. È un commento amaro quello di Gianluca Felicetti, presidente della LAV, verso quella che non esita a definire “una truffa”.

Infatti, se da un lato gli italiani amano sempre di più il 5 per mille, perché sentono il mondo dell’associazionismo vicino, più della politica, dall’altro la legge sul 5xmille ha un problema, perché prevede un tetto massimo di denaro da destinare alle associazioni, che oggi però viene abbondantemente superato. Il che significa che la quota che eccede quel tetto, pari quest’anno a 79 milioni, viene data allo Stato e letteralmente tolta dalle tasche delle associazioni. Le quali, tra l’altro godono di aiuti pressoché nulli.

È per questo che VITA, la piattaforma al servizio del Terzo settore, insieme a 68 organizzazioni tra le più rappresentative del Terzo settore italiano ha lanciato un appello e una campagna, dal nome “5 per mille, ma per davvero”, affinché la presidente del Consiglio e il Parlamento si adoperino per togliere il tetto al 5 per mille, oggi fissato a 525 milioni di euro. “Secondo i dati dei redditi 2024 rispetto al 2023”, spiega Stefano Arduini, direttore di VITA, “gli italiani hanno versato la cifra di 603,9 milioni di euro (a fronte di 676 miliardi di entrate fiscali), una quota record, mentre cresce il numero di contribuenti che indica un codice fiscale per il 5 per mille: 17,9 milioni di cittadini (42,2% dei contribuenti) con un incremento di ben 714.000 firme rispetto all’anno precedente. Restano fuori dunque 79 milioni di euro, anche questa una cifra mai raggiunta prima, visto che il precedente record era di 27,9 milioni di euro (dati 2023 sul 2022)”. Sommando tutti gli extratetto dal 2006 ad oggi arriveremmo a oltre 560 milioni di euro, “come se una edizione del 5 per mille fosse stata cancellata con un colpo di spugna, all’insaputa di gran parte dei contribuenti italiani”, aggiunge.

Ma a cosa serve il 5 per mille, che dall’anno della sua introduzione, nel 2006, ha consentito aiuti per 8,735 miliardi, che arrivano alle oltre 90.000 organizzazioni iscritte all’elenco? Questo strumento consente a migliaia di soggetti sociali, ma anche università e amministrazioni comunali, di coprire bisogni sociali, scientifici e culturali che altrimenti rimarrebbero scoperti. Il 5 per mille finanzia progetti che non sarebbero finanziati in nessun altro modo. Ad esempio, l’AIRC, l’associazione italiana di ricerca sul cancro, con il 5 per mille finanzia borse di studio di giovani ricercatori sulle varie tipologie di tumore. “Il cinque per mille”, prosegue il direttore di VITA, “è un meccanismo unico per due motivi: il primo è che è la migliore realizzazione del principio di sussidiarietà in ambito fiscale in quanto rende il cittadino libero di indirizzare una quota delle sue tasse a organizzazioni che ritiene meritevoli. La seconda è che è uno strumento di partecipazione civile fondamentale. Soprattutto in un momento storico in cui vota meno del 50% degli aventi diritto”.

I promotori della campagna ci tengono a specificare che la mobilitazione non è contro nessuno, anzi mira piuttosto a costruire un’alleanza responsabile per il bene comune fra le istituzioni, la politica, il Terzo settore e i singoli cittadini, visto che, tra l’altro, le associazioni coprono tutto lo spettro etico-politico. “Parlamento e governo hanno l’opportunità di rafforzare questa alleanza, facendo una scelta semplice, giusta e condivisa”, affermano i promotori, che si dicono cautamente ottimisti vista l’apertura di alcuni componenti del governo. “Il punto resta però sempre quello delle risorse: 79 milioni di euro non sono poi così tanti, ma cresceranno, e per questo quello che noi chiediamo non è aggiungere fondi ma togliere il tetto, altrimenti ci ritroveremmo sempre allo stesso punto. Pensi che se tutti indicassero il 5 per mille arriveremmo a un miliardo”, spiega Arduini.

Ma quali sono, oltre il 5xmille le agevolazioni di cui godono le associazioni ormai care agli italiani? Fa una piccola panoramica Gianluca Felicetti, presidente della LAV. “La prima legge sul volontariato del 1991 prevedeva facilitazioni ma su base regionale, in questo modo si è creata però una situazione paradossale per chi, come noi, è un’associazione nazionale con sedi sparse in quasi tutte le regioni. Inoltre, abbiamo delle facilitazioni fiscali sui lasciti testamentari, non paghiamo cioè le tasse come accade normalmente”. Non molto, a fronte di un problema enorme che è il costo del lavoro. “Gli enti del terzo settore”, continua Felicetti, “hanno il contratto collettivo nazionale del lavoro del commercio, un paradosso per chi fa volontariato: da tempo noi chiediamo un contratto collettivo nazionale per il terzo settore con le sue specificità”. Sempre Felicetti fa infine notare un’ultima cosa, ovvero il fatto che le associazioni spesso e volentieri tolgono allo Stato molti costi. “Ad esempio, in Umbria stiamo comprando un grande rifugio per animali vittime di maltrattamento e sfruttamento, ospitiamo anche animali confiscati dallo Stato in seguito a reati per i quali, in teoria, lo Stato avrebbe un costo vivo che noi gli sottraiamo. Anche questo, dunque, andrebbe tenuto presente”.


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