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Carmen Consoli – Amuri luci: La Sicilia ancestrale nel segno di Rosa Balistreri :: Le Recensioni di OndaRock


Carmen Consoli ha annunciato la pubblicazione di una trilogia di album profondamente diversi fra loro, allo scopo di coprire e riassumere tutte le sfaccettature della sua carriera: “Amuri luci” è il primo capitolo di questo progetto ed è dedicato alla musica folk della Sicilia (gli altri due dischi saranno improntati rispettivamente al rock e al cantautorato, e saranno cantati uno in inglese, spagnolo e francese, l’altro in italiano).

Non è la prima volta che Consoli si confronta con il folk della sua terra: nel 2024 ha pubblicato l’album dal vivo “Terra ca nun senti” – che includeva fra le altre cose un paio di rivisitazioni di Rosa Balistreri (la title track e “Buttana di to mà”) – e nel maggio di quest’anno “L’amuri ca v’haju”, colonna sonora del film “L’amore che ho”, biopic sulla vita della stessa Balistreri, incentrata pertanto su rivisitazioni del suo canzoniere.
Questa volta però i brani sono tutti inediti, perlomeno musicalmente, laddove i testi si concedono qualche ripescaggio dai poeti dialettali Ignazio Buttitta (“Mamma tedesca”, “Parru cu tia”) e Graziosa Casella (“Nimici di l’arma mia”), ma anche da nomi dell’antichità quali Ovidio (“Bonsai #3”) e Teocrito (“Galáteia”), i cui scritti sul mito di Polifemo e Galatea vengono cantati in latino e greco, senza riadattamenti.

Il brano che apre e intitola l’opera è una dedica a Giovanni Impastato, che ha speso la sua vita a ricordare il fratello Peppino, vittima di mafia. Eccone una traduzione:

Nella contrada dei Munacheddi si accendevano le luci,
i pastori avevano il cielo sotto i piedi,
tra le pietre e in mezzo all’erba, fino a sotto i dirupi, danzavano felici.
In quelle notti senza luna, il buio ci mangiava i passi
e quelle stelline con le ali ricamavano sentieri.
In quelle notti senza luna, io e mio fratello in mezzo ai campi solitari,
ci sentivamo grandi.
Amore luce, in quelle notti senza tempo.
Amore luce, non si poteva fermare la paura.
Amore luce, Giovanni, alziamo questa voce.
Sui viali bagnati dalla pioggia,
la luce grigia di una lampada stanca illumina l’asfalto sotto i piedi.
In questa notte lunga e senza tempo,
la luce vera non la può riportare indietro il vento.
Quante anime vuote che ti vengono a trovare,
la sensazione di sentirti chiamare è forte.
Impastato con il sangue, scorre il pianto di tua madre,
e tu raccogli, strato a strato, ancora pezzi di tuo fratello.
Amore luce, per non dimenticare chi siamo.
Amore luce, e non ci fa tremare nemmeno l’inferno.
Amore luce, finché resta un filo di voce

Dato che la Sicilia ritratta nell’album vanta una tradizione culturale millenaria, le fonti d’ispirazione possono andare molto indietro nel tempo: “La terra di Hamdis” è per esempio ispirata al poeta siculo-arabo Ibn Hamdis, che nel 1078, all’età di ventidue anni, lasciò la Sicilia per sfuggire alla conquista normanna: pur trovando protezione e ospitalità presso le corti dei più grandi principi arabi del Mediterraneo, avrebbe rimpianto la terra natia per il resto della sua vita.

Vento, perché non spremi la pioggia?
Potresti placare la sete a questa terra.
Porta a me queste nuvole sterili,
che le posso riempire con le mie lacrime.
Campi assetati cosparsi di sangue,
li voglio annaffiare io col mio pianto.
L’amore terreno non può consolare
le madri che non possono più vedere i figli giocare,
correre e farsi male.
Vento, sciogli il pianto,
spegnilo questo inferno e fai piovere
semi di pace,
poi fatti uragano,
spazza via il dio denaro e gli eserciti
dei suoi seguaci.
Vento, corri.
Essere vento e non muovere foglia,
miseria e cenere al posto dell’erba,
e non c’è primavera che possa consolare
le madri che non possono più vedere i figli tornare,
crescere e diventare grandi.
Vento, sciogli il pianto,
spegnilo questo inferno e fai piovere
parole di pace,
poi fatti uragano,
spazza via il dio denaro e gli eserciti
di diavoli armati.
Corri, vento, scaccia il nero di questo cielo

Sono questi i testi migliori scritti da Consoli di proprio pugno. Altrettanto ricca è però la ricerca musicale, complice anche la partecipazione di Giacomo Calà Scattiglia, detto Gemino, studioso di lungo corso di strumenti tipici siciliani, di cui è anche costruttore.

“Amuri luci” si muove così su una chitarra ciclica e ossessiva, ricordando proprio la sopraccitata “Buttana di to mà”, per poi sfoggiare un arrangiamento con mandolino, scacciapensieri (in siciliano marranzanu) e zufolo (in siciliano friscalettu, tipico flauto in legno di canna, probabile retaggio delle colonie greche).
“Unni t’ha fattu ‘a stati” ha sfumature che ricordano le colonne sonore di grandi maestri greci come Mikis Theodorakis e Manos Hadjidakis. “La terra di Hamdis” vanta una sezione d’archi influenzata dalla musica classica araba e si fa notare per la presenza di Mahmood, che accetta la sfida di cantare in siciliano, con risultati assolutamente dignitosi. “Mamma tedesca” si piazza da qualche parte fra tradizione siciliana, chamber folk jazzato e cantautorato moderno (la melodia ricorda nientemeno che “Il vecchio e il bambino” di Francesco Guccini). “3 oru 3 oru” mescola chitarre tex-mex e andamento samba, riuscendo a non farli sembrare fuori posto, mentre “Galáteia” si avvale del suono penetrante della zammara (antica forma di clarinetto, risalente alla dominazione araba).
La partecipazione di Jovanotti in “Parru cu tia” è un pesce fuor d’acqua che comunque non rovina l’atmosfera, durando appena un minuto e mezzo. Ben più riuscita è quella del tenore Leonardo Sgroi, dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, con cui Consoli duetta in “Qual sete voi?”, cantata in italiano volgare del XIII secolo su versi tratti da uno scambio epistolare fra la poetessa Nina Siciliana e il poeta toscano Dante da Maiano.

Alla fine, però, in un lavoro così stratificato e denso di riferimenti, l’elemento più sorprendente è proprio la voce di Consoli, le cui vibrazioni e sfasature si adattano perfettamente a questo tipo di canto ancestrale, mostrando come la sua passione per l’arte di Balistreri sia tutt’altro che di facciata. Spiace solo che per realizzare un simile progetto abbia impiegato quasi trent’anni e che forse rimarrà una parentesi: ci siamo persi la carriera di una cantante folk di primo livello.

12/10/2025




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