Depressione: un nuovo studio rivela perché colpisce di più le donne
In altre parole, la depressione non è solo una «malattia dell’anima». È una condizione complessa, che coinvolge fattori biologici profondi. E riconoscerlo, sottolineano gli studiosi, non significa ridurre la sofferenza a una questione genetica, ma comprendere meglio perché alcune persone, in particolare donne, sembrano più vulnerabili di altre.
Oltre i geni: ormoni, corpo e società
Naturalmente, il DNA non basta a dare un risposta completa. La genetica è una cornice, ma il quadro lo dipinge la vita.
Gli esperti sono infatti concordi nel dire che la maggiore incidenza della depressione femminile dipende da un insieme di fattori biologici, ormonali e sociali che si intrecciano.
Ad esempio, le fluttuazioni ormonali, dalla pubertà alla gravidanza, dal post-partum alla menopausa, rendono le donne più sensibili ai cambiamenti neurochimici che influenzano l’umore. Questi poi si sommano esperienze di vita spesso più gravose rispetto agli uomini: un maggiore rischio di violenza domestica o sessuale, carichi familiari e di cura, stress cronico e una cultura che, ancora oggi, tende a normalizzare la fatica emotiva femminile.
Lo stesso studio australiano riconosce che questi fattori ambientali giocano un ruolo cruciale. Tuttavia, mostra anche che alcune delle differenze biologiche tra i sessi potrebbero amplificare l’effetto dello stress o di esperienze traumatiche, rendendo più facile il passaggio da una situazione di vulnerabilità psicologica a un vero e proprio disturbo depressivo.
C’è poi un altro elemento da considerare: la diagnosi differenziale. Mentre gli uomini tendono a chiedere meno spesso aiuto o a manifestare la depressione con sintomi esterni (irritabilità, abuso di alcol, comportamenti impulsivi), le donne riferiscono sintomi più «interni», come tristezza, apatia o senso di colpa. Questo fa sì che i casi femminili vengano più facilmente individuati e diagnosticati, ma anche che le donne ricevano più spesso trattamenti farmacologici, mentre gli uomini restano invisibili nelle statistiche.
La nuova ricerca non nega il peso di questi fattori, ma aggiunge una prospettiva complementare: se uomini e donne vivono la depressione in modo diverso, è anche perché la loro biologia la elabora in modo diverso.
Un approccio di genere alla salute mentale
Questa nuova consapevolezza apre la strada a una medicina più precisa, e più giusta: non esistono due depressioni, ma due modi di reagire alla stessa malattia. E riconoscerlo può cambiare il modo in cui la medicina affronta il problema.
Gli autori dello studio auspicano che, in futuro, le conoscenze genetiche possano tradursi in strumenti concreti. Come ha spiegato Mitchell, infatti, i risultati «non vogliono ridurre la depressione a una questione genetica», ma dimostrare che le strategie di prevenzione devono tenere conto del genere tanto quanto dell’età o dello stile di vita.
Non si tratta di creare una «psichiatria per donne», ma di riconoscere che le differenze biologiche contano – e che ignorarle significa spesso trattare tutti nello stesso modo, ma non sempre nel modo migliore.
Perché riconoscere che il dolore psicologico può avere una base anche biologica non significa reiterare gli stereotipi sulla cosiddetta fragilità emotiva delle donne, men che meno ridurre la complessità dell’esperienza umana. Significa darle dignità, comprendere che non è una colpa, ma una condizione, e che la scienza può aiutarci a prevenirla e curarla meglio.
Fonti scientifiche di riferimento per questo articolo:
Sex-stratified genome-wide association meta-analysis of major depressive disorder, Nature Communications
Depression in women: Understanding the gender gap, Mayo Clinic
Depression in Women: 4 Things to Know, National Institute of Mental Health
Depressive disorder (depression), World Health Organization
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