Cultura

La raccolta dei Pavement. “Hecklers Choice: Big Gums and Heavy Lifters”.

Hecklers Choice” è il secondo best-of dei Pavement, e già il titolo sembra un paradosso perfetto, una scelta di parole degna della loro estetica marginale e vissuta. Musica che vuole disturbare, guastare, interrompere il flusso ordinario dei pensieri, per gridare o sussurrare la propria dissonanza visionaria e sentimentale. Un’occasione per tuffarsi, ancora una volta, in quei brani che non hanno soltanto segnato gli anni Novanta, ma che, col tempo, sono diventati delle vere e proprie coordinate emozionali, classici sghembi, schegge taglienti di memoria che si insinuano nei nostri ricordi individuali e collettivi.

Oggi queste canzoni sono materia prima per gli algoritmi dei social e delle piattaforme di streaming: calcolate, incasellate, proposte in loop eterno come se potessero essere ridotte a semplici dati. Ma al di là dei numeri, restano soprattutto scintille intime, vibranti, personali. Sono i nostri tentativi di dare forma a playlist improvvisate, a colonne sonore interiori che possano accompagnare l’amore, la passione, il tormento e la disillusione, nonché la crescita ed il fallimento, i giorni che ci hanno cambiato e quelli che, invece, ci hanno soltanto attraversato, senza bussare.

I Pavement, con la loro oscillazione tra un indie-rock abrasivo e una forma primordiale di rock “lo-fi”, sono stati una band capace di rompere la superficie levigata dell’industria musicale. Tra ritornelli sporchi e melodie cupe, tragiche e sognanti, hanno fuggito, con orgoglio, tutto ciò che sapeva di prefabbricato, di ingranaggio, di convenzione. Negli anni Novanta, in un’epoca che aveva ancora un respiro essenzialmente analogico, scegliere Pavement significava scegliere un cammino più sincero e più dissonante, rinunciare alla morbidezza rassicurante di un presente compiacente, statico e falsamente equilibrato, per aprirsi a una musica lunatica, imperfetta e, dunque, umanissima.

Senza le note a margine, senza le cancellature, senza i fogli strappati e le intuizioni improvvise, senza le chitarre distorte ed ossessive, senza i racconti minimi e sgangherati, senza la bassa fedeltà come stile e come destino, e senza la luce abbacinante, rumorosa e violenta dei Velvet Underground, che cosa resterebbe delle nostre vite? Probabilmente, soltanto il silenzio di una dimensione piatta e vuota.

Ma è proprio nelle imperfezioni che si nasconde la verità: i Pavement ci hanno insegnato che la poesia non vive sui palchi patinati o nei testi scolpiti per piacere a tutti, ma è, soprattutto, nella polvere dei marciapiedi, nei neon intermittenti dei bar di periferia, negli appunti scarabocchiati ovunque su un vecchio e consumato quaderno. “Hecklers Choice” non è soltanto un’antologia di canzoni, è un promemoria sul fatto che la musica più grande nasce dalla strada, da quei versi fragili, ironici e randagi che ci aspettano dietro ogni angolo, pronti a ricordarci che la bellezza è sempre, ostinatamente, dentro di noi.


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