Ambiente

La voce degli azionisti nelle società quotate

Il prossimo 10 ottobre si terrà a Pavia, promosso e organizzato dal Centro Studi Guido Rossi, un Convegno di studi su la «voce» degli azionisti nelle società quotate. Ci saranno interventi di autorevoli studiosi di Diritto commerciale di varie università e scuole accademiche, preceduti da una conversazione condotta da Piergaetano Marchetti con Gian Maria Gros-Pietro e Massimo Tononi per uno sguardo al rapporto tra società ed azionisti nella realtà delle grandi società quotate, tema che negli ultimi anni ha attraversato varie importanti situazioni ed operazioni del nostro sistema economico-finanziario.

Pare interessante una riflessione organica e articolata sulla dialettica tra capitale o se si vuole proprietà e governo societario nella grande impresa quotata italiana, per interrogarsi sulle sedi e sugli strumenti attraverso cui gli azionisti esercitano la propria «voce» nelle società aperte. Vi sarà, tra l’altro, attenzione alle prospettive di riforma che emergono dalla disciplina europea sui diritti degli azionisti e dalla ricerca di nuovi modelli organizzativi capaci di bilanciare l’efficienza decisionale con un coinvolgimento più consapevole e responsabile del capitale. L’obiettivo complessivo sarà una lettura critica e prospettica delle dinamiche attuali di partecipazione azionaria nelle società quotate.

Nella realtà, come si sa condizionante ogni discorso giuridico sull’impresa, i temi assumono contenuti e contorni alquanto diversificati in relazione alla tipologia delle società quotate quanto ad assetti proprietari e discipline speciali. Ma resta un clou, costituito dal ruolo degli azionisti, giacché è la stessa quotazione a pretenderne presenza e interesse. Possiamo pure porci domande sul futuro della s.p.a. quotata e della sua funzione nell’imperversare di capitali ingentissimi e mobilissimi, fondi privati e pubblici, intermediazioni di varia risma, ma se si parla di società quotata dagli azionisti e altresì indistinti occorre muovere, non solo per la corporate governance, pure per la vigilanza pubblica.

La parità di posizione degli azionisti, comunque, resta il principio essenziale e la specialità dei diritti dovrebbe essere limitata se non addirittura esclusa: nelle società quotate ciò è presupposto di trasparenza e di mercato. Il voto plurimo, di cui tanto si è discusso negli ultimi tempi, pare contrario a tali principi, risponde solo ad interessi particolari (o famigliari) e si presta ad usi obliqui. Una cosa è prevedere diritti patrimoniali privilegiati, forse anche opportuni (le azioni di risparmio sono state un fallimento, sì, ma una logica c’era e forse potrebbe essere riconsiderata), tutt’altro è il diritto di voto non solo plurimo ma moltiplicato; e vicini al voto plurimo sono i sindacati di voto, anch’essi contrari alla trasparenza e all’uguaglianza tra gli azionisti e sulla cui, pur oggi riconosciuta, liceità sarebbe bene tornare ad interrogarsi.

E poi ci sono i conflitti di interesse degli azionisti, tanti, diffusi; varie sono le domande: gli azionisti presenti o rappresentati in Cda quale interesse perseguono? L’interesse dell’impresa e l’autonomia degli azionisti: quale bilanciamento? Gli interessi degli azionisti vs. quelli dei manager? Gli interessi degli azionisti con attività in concorrenza con la società? E poi vi sono gli azionisti investitori istituzionali, il cui ruolo è ormai imprescindibile. Come pure, è dubbio parlare ancora di azionisti di minoranza, mentre di fronte a pochi azionisti di vero controllo occorrerebbe riflettere sugli azionisti come investitori.


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