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Etiopia, via alla Diga della Rinascita fra le tensioni con Egitto e Sudan

L’attesa è durata quasi 15 anni. Ora c’è il debutto ufficiale, ma l’entusiasmo dei padroni di casa si scontra con il nervosismo di una regione già tumultuosa. L’Etiopia, il secondo Paese più popoloso dell’Africa, inaugurerà il 9 settembre la Grand Ethiopian Renaissance Dam: la maxi-diga sul Nilo blu che dovrebbe generare oltre 5mila megawatt di elettricità, raddoppiando l’attuale capacità etiope e affrancando l’ex «miracolo» economico dalla povertà energetica che priva 6 etiopi su 10 di un aggancio alla corrente elettrica. Addis Abeba parla di una «aspirazione» naturale dell’Etiopia e assicura che l’infrastruttura produrrà benefici anche sul resto della regione, garantendo risorse di acqua analoghe a quelle assicurate finora e l’export energetico verso i Paesi dell’area.

Egitto e Sudan contestano da anni il progetto e ribadiscono il timore di una paralisi dell’approvvigionamento idrico, con il rischio di un colpo letale a economie che dipendono dall’apporto di acque del fiume. Il Cairo deve circa il 90% delle sue forniture idriche al Nilo e classifica la «Gerd» come una minaccia alla sua stessa sopravvivenza economica. Il governo etiope ha cercato di disinnescare le tensioni e parla della diga come di un’infrastruttura «collettiva», prospettandolo su scala regionale. Egitto e Sudan hanno diramato una nota dove denunciano le «violazioni del diritto internazionale» e le «gravi conseguenze» sui Paesi a valle.

La diga della discordia e i flop negoziali

I lavori delle Gerd sono iniziati nel 2011, innescando tensioni a intermittenza fra le aspirazioni energetiche dell’Etiopia e le rivendicazioni idriche (e politiche) di Egitto e Sudan. L’infrastruttura rappresenta la più grande diga africana e ha già iniziato da mesi le operazioni di riempimento con oltre 10 turbine già in azione: un passo in avanti per Addis Abeba e l’innesco di nuove scintille con Khartoum e soprattutto il Cairo, ostile a un’iniziativa vissuta come uno smacco anche simbolico rispetto al peso del Nilo su identità e sicurezza economica egiziana. I tre Paesi hanno avviato da anni round periodici per una negoziazione, ma l’obiettivo di un accordo si è sempre incagliato sulle divergenza originarie e alcune clausole più specifiche, incluso il rilascio di quote idriche nelle fasi di siccità che logorano l’Egitto.

Al massimo delle sue capacità, la struttura dovrebbe contenere 74 miliardi di metri cubi di acqua. Secondo le stime diffuse da Abbas Sharaky, professore di Geologia e risorse idriche all’Università del Cairo, l’infrastruttura aveva già raggiunto riserve per 64 miliardi di metri cubi d’acqua a settembre 2025 contro i 60 miliardi raggiunti nel settembre dell’anno precedente. «Se immagazzini 60 miliardi di acqua che prima fluivano in Egitto, non crei un danno?» ha fatto notare Sharaky all’emittente britannica Bbc, riecheggiando i dubbi che aleggiano nella polemica politica e fra le stime più pessimiste sulle ricadute di un’opera osteggiata fin dalle origini e ancora più controversa sullo sfondo della crisi econ0mica che attanaglia il Cairo.

Fuori dalla contesa idrica, la disputa tocca le corde più nazionalistiche sul valore del «fiume sacro egiziano» e la proiezione politica attribuita da Abiy alla Gerd. Agli occhi del Cairo, le «mani» etiopi sul Nilo sono un affronto che colpisce nel vivo una risorsa intrecciata alle origini stesse del Paese e già oggetto di un accordo risalente al 1959 con il Sudan, oggi liquidato come anacronistico dall’Etiopia. Agli occhi di Addis Abeba e del suo leader Abiy, la «Gerd» è un investimento anche di immagine poderoso sul riscatto economico di un Paese scivolato dai fasti della crescita record dei primi anni Duemila ai traumi di Covid e guerra civile con il Tigray, la strage tornata a riaffacciarsi nelle cronache etiopi con le ultime fibrillazioni sul confine settentrionale. Abiy auspica che l’inaugurazione del 9 settembre includa anche i leader africani approdati ad Addis Abeba per un summit climatico in preparazione della COP30 brasiliana. L’obiettivo è incassare consenso sul progetto «collettivo» della Diga della Rinascita e sondare i riscontri sulle ambizioni più politiche. I riscontri che lo attendono possono rivelargli fin dove spingerle.


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