Giustizia riparativa, soluzione contro la ‘vendetta’ dello Stato
(di Chiara Venuto)
(ANSA) – ROMA, 05 SET – “Dobbiamo chiederci se gli strumenti
che stiamo usando sono finalizzati al cambiamento o alla pura
vendetta di Stato”. L’invito è di Patrizia Patrizi, ordinaria di
Psicologia giuridica all’università di Sassari, ex presidente
dell’European Forum for Restorative Justice e membro del
Direttivo di Nessuno tocchi Caino. L’occasione per parlare con
lei di giustizia è la presentazione alla Mostra del cinema di
Venezia di ‘Elisa’ (in uscita in sala già oggi), film diretto da
Leonardo Di Costanzo in cui una donna, rinchiusa in prigione da
10 anni per l’omicidio della sorella, inizia un percorso con un
criminologo per capire le ragioni di ciò che ha fatto.
“È la prima volta che in un’intervista cominciamo partendo da
chi ha commesso l’atto”, riflette parlando con l’ANSA. Quando si
discute di giustizia, ci sono dei temi che ricorrono sempre, e
spesso ci si concentra sulle vittime e sulla loro tutela. Anche
a costo di accanirsi sul “potere punitivo e vendicativo dello
Stato”. Se il sistema carcerario “fosse fatto nell’ottica
dell’autore” e del suo “cambiamento”, prosegue la docente,
“avremmo carceri più dignitose, meno affollate”. Nel caso del
film, ad esempio, la protagonista si trova in una struttura
carceraria in mezzo ai boschi della Svizzera, e condivide una
sorta di piccola casetta con un’altra detenuta. Una condizione
in cui ci sono già le premesse per un lavoro di trasformazione
dell’individuo.
Secondo Patrizi, una soluzione migliore può essere un
percorso complementare e alternativo al processo, che coinvolge
sia autore che vittime (che si tratti di una persona, una
famiglia o una comunità) e dà a tutti la possibilità di trovare
una voce e andare avanti. È la giustizia riparativa, una pratica
che dal 2022 – con la riforma Cartabia – è entrata a pieno
titolo nell’ambito penale italiano.
“Parte dall’idea di ‘cambiare le lenti’, come direbbe Howard
Zehr – spiega Patrizi -. Noi siamo culturalmente legati a un
paradigma punitivo o retributivo”. La logica della giustizia
riparativa è una “relazionale”, perché chi trasgredisce una
norma viola pure un rapporto umano. A fronte di questo, è
necessaria “l’assunzione di responsabilità per aver disatteso le
regole sociali” e “il sentirsi responsabili delle conseguenze
verso le persone” che ne sono state vittime. Se per la giustizia
retributiva “la risposta è che chi ha commesso reati abbia ciò
che merita” in forma di “colpa e punizione”, per la riparativa
“l’attenzione è ai bisogni che derivano da quella relazione
violata e l’obiettivo è di mettere il più possibile le cose a
posto”. Il percorso di Elisa nel film è una sorta di
anticipazione di questo, dato che lei non ha degli incontri
formali con chi ha subito l’atto, ma riesce con l’aiuto del
professionista a rielaborare il senso di colpa e trasformarlo in
responsabilità.
Nella giustizia riparativa, infatti, “è fondamentale il
coinvolgimento di tutte le parti interessate”, alle quali viene
perciò restituita “una voce”. Vengono perciò svolti degli
incontri tra le parti, con l’aiuto di un soggetto terzo
facilitatore. “Chi ha agito può parlare – racconta Patrizi – ma
soprattutto la vittima può chiedere, domandare, anche
rimproverare, dire ciò che il fatto ha rappresentato nella sua
vita”. È un metodo che “consente di costruire una nuova
narrazione” comune di quanto avvenuto per andare avanti,
“ricomponendo la giustizia attraverso il dialogo tra i
protagonisti” e, senza dimenticare ciò che è stato, “uscire dal
dominio del passato” che domina la vita sia di chi ha subìto un
atto che di chi l’ha commesso, al punto da vedere la “propria
esistenza alla luce di quel fatto”. In poche parole: non un
perdono, ma una soluzione per stare meglio tutti.
Certo, “non è un processo semplice” per nessuno, ma questo
vale per qualsiasi percorso terapeutico quando ci sono drammi di
questo tipo, pure se individuale. Non è facile nemmeno per il
personaggio interpretato da Barbara Ronchi, che vive momenti di
tensione il criminologo. Però “il problema più grande che
abbiamo in questo momento” in Italia non è tanto la riuscita o
meno del sistema di giustizia riparativa, quanto il fatto che in
molti “non conoscono nemmeno la possibilità” di impiegarla,
aggiunge Patrizi. Si crede “che sia solo a beneficio
dell’autore” o “una doppia vittimizzazione” per chi ha subìto un
reato, e “ci sono pure difficoltà d’accesso dovute alla scarsa
conoscenza” da parte degli operatori di giustizia. In generale,
il sistema penale “ha delle caratteristiche che non stimolano
l’assunzione di responsabilità o il cambiamento”, conclude.
Basti pensare al fatto che di spazi dove fare gli incontri
ancora ce ne sono ben pochi.
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