Cultura

Fausto Leali :: Le interviste di OndaRock


“Report” è il nuovo, divertente singolo di un trio inedito: il giovane Denny Lahome e i due veterani della musica italiana Francesco Baccini e Fausto Leali. Quest’ultimo, lo scorso Natale, ha deliziato vecchi e nuovi fan con emozionanti reinterpretazioni di classici più o meno legati a tale festività: da Leonard Cohen a Louis Armstrong, passando per James Brown e il “vecchio amico” e ispiratore John Lennon, col quale condivise il palco nel 1965. Più di ottant’anni di vita, la maggior parte dei quali trascorsi nel music business a 360° (arrivando a essere più che un amico per Wilson Pickett), non hanno lasciato il minimo segno nell’incredibile e iconica voce di Fausto, potente, dinamica ed espressiva ieri come oggi. Lo abbiamo incontrato per questa intervista esclusiva.

Dunque, caro Fausto. Raccontaci come nascono il brano “Report” e la tua collaborazione con Denny Lahome e Francesco Baccini.
Dunque… Nasce in questo modo: mi hanno chiamato per questo progetto e io ho detto “sì”, perché mi interessa la storia che c’è dietro, le collaborazioni poi mi piacciono e quando mi si offre l’occasione di poterlo fare, lo faccio. Questa mi è sembrata un’occasione molto simpatica e quindi ho accettato di dar vita a questo trio, ci siamo divertiti. Lui è un ragazzo giovane molto forte e con Baccini ci conosciamo da parecchio tempo, dunque è stato un bell’incontro.

Anche se sono passate da tempo le feste, parlaci della tua ultima uscita discografica, “Il mio Natale”, del singolo e del video di “Amo tutto” (brano inedito). Come hai scelto le canzoni che compongono il disco e che significato ricoprono per te?
No, guarda, li abbiamo scelti insieme a un collaboratore della Warner e soprattutto con Luca Chiaravalli, il maestro e arrangiatore. Insieme abbiamo fatto una scelta e poi diciamo che un brano come “It’s A Man’s Man’s Man’s World” – che forse c’entrava poco – è comunque risultato coerente in quanto riguarda l’amore in generale. Luca aveva sentito una mia versione fatta alla Rai con una grande orchestra e l’ha voluta inserire, lavorando pure lui all’arrangiamento. L’ha voluta a tutti i costi perché gli era piaciuta davvero tanto. Poi mi è piaciuto subito, tantissimo, il brano “Amo tutto”, scritto da questi ragazzi giovani perché è bello, allegro, vivace e tratta un argomento molto importante, specialmente di questi tempi. Il significato di “Amo tutto” è semplice, voglio dire: tutte le cose che ci attraversano nella nostra vita… Dobbiamo essere più attenti e cercare di amarle di più, ecco qual è il significato generale della canzone.

Cosa possiamo aspettarci, nel futuro prossimo e venturo, sia in termini di registrazioni in studio che di esibizioni dal vivo?
Beh, mettiamola così: se Elon Musk mi dà un passaggio, io vado a cantare! (ride) Cosa ci si può aspettare… Voglio dire, io faccio il mio lavoro e lo faccio molto volentieri, non mi fermo mai perché mi piace sentirmi vivo. E questo lavoro mi dà questa importante opportunità: incontrare sempre gente che ti vuole bene, che ti apprezza e che quindi ti dà una sferzata di vita ogni volta. È davvero molto bello, sono molto contento del mio lavoro.

Hai fatto degli studi precisi per affinare la tua tecnica vocale? E prima dei concerti, che tipo di esercizi e riscaldamento aiutano la preparazione per l’esibizione?
Niente di niente.

Niente?
No, niente assolutamente. Ma poi, soprattutto, non è che io abbia fatto degli studi particolari, ho avuto un maestro a 17 anni che, per un anno, una volta alla settimana a Milano mi ha insegnato a usare il diaframma: solo quello e basta. Poi naturalmente ci sono state le mie trasformazioni, la voce chiaramente cambia crescendo, ma ciò anche grazie al fatto che seguivo determinati artisti che amavo, la musica nera americana e via dicendo. Poi praticamente alla fine, senza saperlo, senza volerlo, mi sono trovato con una voce tipica, mia.

Undici anni sono passati dall’uscita del libro – scritto insieme a Massimo Poggini – “Notti piene di stelle”. Com’è stato ripercorrere mentalmente la tua carriera per la stesura dell’opera e, dopo undici anni, che capitolo aggiungeresti idealmente al libro?
Allora, praticamente con Poggini abbiamo fatto il libro in questo modo: io raccontavo alcune storie e lui le scriveva, apportando modifiche in seguito come giustamente fa uno scrittore. Ma era tutto basato soprattutto sulla canzone, non è proprio un libro scritto come una biografia. Ci sono sì dei passaggi della mia vita privata che riguardavano l’inizio della mia carriera, ma non è un vero e proprio libro sulla mia vita. Però c’è parecchio in quel libro della mia vita. Riguardo il capitolo in più, diciamo che da allora ad oggi c’è il capitolo più importante: mi sono sposato con Germana e siamo felici, stiamo benissimo insieme e stiamo sempre insieme!

Oggi giovani artisti ai loro esordi talvolta entrano in uno stato di crisi non appena assaporano the sweet smell of success (cit. The Stranglers). Tu hai conosciuto un lustro piuttosto buio tra il 1981 e il 1986, però era passato molto tempo dal tuo debutto e nelle tue memorie provi a dare una spiegazione razionale.
No, io non sono mai andato in crisi: ho sì passato quel momento, però avevo già comunque un mio repertorio, un mio background molto forte, quindi quando facevo i miei concerti, le mie serate, cantavo quelli ed erano già tanti, non è come per quel tipo di artista che ne aveva uno e poi è sparito e finita lì. Potevo comunque contare su una decina di successi che mi portavo appresso e facevo le mie serate. Però a un certo punto c’è stato l’exploit dei cantautori che – ben venga, ci mancherebbe – ha messo un po’ in disparte gente come me, Gianni Morandi e altri, capito? Poi dopo la storia è cambiata un po’, anche perché i cantautori sono cambiati: prima il cantautore era chiuso, faceva le sue canzoni, se le cantava lui e via, invece in seguito si sono aperti molto di più. Io per esempio con Francesco De Gregori (che ha anche realizzato una cover di “A chi”, ndr), Claudio Baglioni e tanti altri ho lavorato ad un mio disco (“Non solo Leali” del 2016), quindi si sono aperte le porte e il cantautorato è diventato un po’, diciamo così, alla portata di altri colleghi.

Secondo te, com’è cambiato il music business oggi (epoca social) in termini di rapporti artista-management, artista-etichetta discografica ma anche artista-pubblico?
Sì, diciamo che sui social alcuni scrivono delle cose stupide perché hanno questo potere, il potere di avere in mano una “penna” per poter scrivere qualsiasi cosa gli venga in mente: ci sono quelle positive e ci sono quelle negative, comunque i social ormai oggi sono importanti, non si può far finta che non ci siano.

Noi abbiamo un amico in comune, che è il grande Enrico Ruggeri
Certo, certo! A proposito di cantautori coi quali ho condiviso qualcosa: anche lui era dentro questo mio album…

Una volta lo hai anche “rapito” e messo nel bagagliaio di una Cadillac, imbavagliato! Come descriveresti il tuo rapporto con lui come uomo e come artista?
(Ride) Abbiamo fatto quel video molto simpatico, sì (la cover di “Gianna”). Siamo molto amici. Ci vediamo poco perché poi, alla fine, ogni tanto ci sentiamo a Milano, facciamo una cenetta, ma essendo tutti e due molto impegnati è difficile incontrarci, però l’amicizia, una volta che si è creata, rimane.

Quali ricordi conservi a livello puramente umano dei Beatles, di cui apristi i concerti nel loro unico tour italiano del 1965, e del leggendario Wilson Pickett, con il quale interpretasti “Deborah” a Sanremo nel 1968?
Beh, con Wilson Pickett siamo diventati amici, sono stato a New York, mi ha portato in giro nei locali, mi ha presentato ai suoi colleghi come i Temptation, per esempio, e altri ancora. Tu sai che poi ha fatto da padrino a mia figlia Deborah, quindi è stato un grande onore, un grande momento della mia vita. Con i Beatles è stato bello, purtroppo eravamo poco attrezzati, non c’erano i telefonini, sennò avrei un repertorio da farti vedere, con i Beatles, pazzesco! Invece nulla, non avevamo proprio niente in mano. Però, sai, è stato bello, è stata un’esperienza meravigliosa. Poi io i Beatles li amavo tanto perché addirittura eravamo diventati quasi una cover band dei Beatles, diciamo: poi per fortuna abbiamo smesso subito, perché è inutile suonare con le cover band! (ride)

Qual è il genere musicale o l’artista che ami che potrebbe scioccare seriamente i tuoi fan perché non si aspettano che tu li apprezzi?
Io ho un repertorio diverso, diciamo, da quello che propongo in genere. Non è stato accettato o forse non è stato promosso come doveva essere. Ho questo rimpianto: avrei avuto questa voglia di far sentire cose un po’ diverse, ma poi saltava sempre fuori la canzone più romantica e si lavorava su quella. Quindi il mio marchio ormai è quello lì. Però tutti sanno che io posso fare funky, rock e cose simili, perché l’ho sempre dimostrato.

Quale messaggio e saluto finali invieresti ai lettori di OndaRock?
Beh, OndaRock è forte perché siete giovanili! E poi il rock non deve mai morire perché è la base di tutto. Non so cosa succederà tra vent’anni, trent’anni, musicalmente parlando, forse anche dieci, perché ormai i tempi corrono molto velocemente. E quindi è probabile che molte cose che vivono oggi verranno cancellate. Non so se addirittura continueranno o miglioreranno o peggioreranno, questo non si sa. Dovremo aspettare.

Il rock dovrebbe rimanere, come costante…
Sì, quello per forza. È la base di tutto. Perché per rock si intende anche Vasco: tutto rock, però ci sono anche dei brani per così dire molto lenti. Perché, se no, per rock si intende rock’n’roll che è una cosa diversa (ride). Il rock, in genere, può anche essere rock blues, per esempio: “A chi” è una canzone abbastanza blues, se vogliamo.

Beh sì, certo. Sai, in radio ho fatto tre lunghissime interviste con l’amico Bobby Solo. Una sul country, una sul blues e una sul jazz. Ho fatto parlare praticamente solo lui, a ruota libera…
Sì, lui ama molto il blues. E lo suona! Perché poi il rock’n’roll lui lo fa per davvero e anche molto bene. E quindi è sempre stata la sua passione. Io so che lui quando va in giro a fare i suoi concerti con il gruppo, si diverte tantissimo perché fa quello che gli piace. Lo faccio anch’io, naturalmente: inserisco nei miei concerti un po’ di funky, un po’ di musica rock. James Brown, per esempio, lo faccio molto volentieri e la gente lo apprezza in una maniera che… non ti dico quanto! Viene accolto in una maniera straordinaria, sempre, in ogni posto in cui vado.

(10 agosto 2025)




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