Cultura

incontro con Petra Volpe e una clip in anteprima esclusiva

Un giorno come tanti altri, L’Ultimo Turno di una giovane appassionata infermiera in un ospedale svizzero. La sempre più brava attrice tedesca Leonie Benesch è protagonista di un thriller inusuale in ambiente ospedaliero, al cinema dal 20 agosto con BIM. Abbiamo incontrato la regista Petra Volpe e vi presentiamo una clip in anteprima esclusiva.

La sera arriva, in un ospedale moderno ma come tanti altri nel cuore della Svizzera. Floria è una giovane infermiera appassionata e competente nel suo lavoro. È l’eroina di una professione troppo spesso sottostimata, raccontata ne L’ultimo turno dalla regista svizzera Petra Volpe. Un film appassionante come un thriller, presentato a Berlino e ora in anteprima il 18 agosto e dal 20 agosto nelle sale di tutta Italia per BIM distribuzione. In fondo trovate anche una clip in esclusiva del film.

La storia parla di una categoria tanto importante quanto ritenuta mera funzione, data troppo spesso per scontata. È interessante come le dia un volto riconoscibile e umano. Come le è venuta l’idea di parlare di loro?

Soprattutto perché non hanno volto né voce, ma è ispirato alla mia vita personale. Ho vissuto con un’infermiera per molto tempo e mi ha stupito il tipo di questioni esistenziali con cui si confrontava ogni giorno. Nella sua vita quotidiana doveva affrontare la vita e la morte, i parenti, la perdita, la malattia, mentre io al massimo qualche problema con la sceneggiatura. Quello che facevo mi sembrava banale. Le infermieri fanno un lavoro importante per la società, ma non sono apprezzate abbastanza. Come regista sono interessata a temi politici, sociali e femministi e mi sembrava così tipico che una professione femminile fosse così sottovalutata. Ma ci è voluto molto tempo per trovare la forma giusta, non volevo fosse un semplice dramma sociale per quattro gatti, ma un film che molte persone andassero a vedere al cinema. La domanda, sempre interessante per un regista, era come trovare una forma accattivante. Poi ho letto un libro di un’infermiera tedesca che descrive semplicemente un turno di lavoro. Ricordo che il mio cuore ha iniziato a battere forte già alla terza pagina e ho pensato: è così che deve essere il film. Da lì ho iniziato a fare molte ricerche, parlando con decine di infermiere. Sono andata in ospedale per capire davvero il ritmo e le sfide. Poi ho iniziato a delineare i pazienti e le loro storie.

Floria, la protagonista, come tutte le sue colleghe, deve ripetere continuamente, turno dopo turno, gli stessi gesti meccanici, ma allo stesso tempo deve mostrare empatia per i pazienti. Nell’equilibrio fra questi due aspetti mi sembra stia la chiave del personaggio, e forse delle infermiere in generale.

Il lavoro è molto complesso e hanno una responsabilità enorme, perché sono le persone più vicine al paziente. Il medico arriva la mattina per cinque minuti, ma loro ci badano tutto il giorno. Sono loro che annotano se c’è qualche cambiamento nella cartella clinica, se cambia il colore della pelle. Per l’80% sono donne. Devono sapere molto di medicina ed essere concentrate quando dosano i farmaci. Non è che vanno in farmacia e prendono una pillola, ma devono essere precisissime. Il loro è un esercizio mentale ed emotivo, Se ci sono due pazienti in una stanza, due mondi diversi, devono rispondere a entrambi. Poi ci sono i parenti, che hanno i loro bisogni emotivi come il paziente. Il lavoro delle infermiere va ben oltre quello che vediamo nelle serie televisive, dove il medico è Dio e loro sono sullo sfondo. In realtà, sono al centro dell’assistenza sanitaria e degli ospedali.

Cosa tutti noi sappiamo bene quando frequentiamo gli ospedali

Ce lo ricordiamo solo quando non ci sono. Ma quando siamo in ospedale, siamo molto felici che ci siano. MI ricordo quando mio nonno, abruzzese, doveva andare spesso in ospedale negli anni ’80 a Roma. Non c’erano infermiere. Mia nonna doveva stare al suo capezzale e dormiva su una sedia perché non c’erano abbastanza infermiere. Era lei, anziana, a doversi prendere cura di lui, quindi penso che in Italia la situazione delle infermiere sia la stessa che in tutto il mondo: non ce ne sono abbastanza, vivono in condizioni difficili, sono esaurite e sottovalutate.

Come mai così pochi uomini fanno questo mestiere?

Il problema è che storicamente e tradizionalmente è un lavoro femminile, erano le suore a svolgerlo. L’idea era che lo facevi perché donna, e un lavoro di Dio non doveva essere retribuito. Le cose sono completamente cambiate, ma è tipico dei lavori femminili essere meno retribuiti e apprezzati. Proprio per questo gli uomini sono meno attratti da questi lavori. Posso garantirvi che se più uomini lo facessero, gli stipendi aumenterebbero. È un semplice caso di sessismo quotidiano. È così che stanno le cose. Trattare gli infermieri in modo non adeguato danneggia la società intera, perché prima o poi tutti avremo bisogno di un infermiere.

Parlando del ritmo, dell’aspetto tecnico, segue Floria con lunghi piani sequenza, creando una tensione da thriller

Volevamo che il film rappresentasse un’esperienza fisica, qualcosa che facesse battere forte il cuore e rendesse irrequieti, fin dal primo minuto. Siamo andati in ospedale per osservare il ritmo, i i tempi, per capire davvero come si muovono e parlano. Volevamo azzeccare questo aspetto, perché il film è anche una lettera d’amore alle infermiere e volevamo capire in pieno il loro lavoro. Floria inizia il turno con motivazione, forza e un buon ritmo. Non è per mancanza di energia o motivazione che fallisce. È il sistema che la fa fallire, e una volta che il turno va a rotoli, anche la macchina da presa e il montaggio diventano più frammentati. Ovviamente abbiamo dovuto provare, perché le sequenze erano lunghe come in uno spettacolo teatrale. I tempi dovevano essere perfetti. La lunga ripresa all’inizio l’abbiamo provata per due giorni e poi l’abbiamo girata il terzo giorno, girando qualcosa come 17 ciak. La prima era quasi perfetta ed eravamo euforici, poi l’abbiamo sbagliata per 15 volte. È stato divertente, è stata un’esperienza.

Ogni volta che lei entra in una stanza incontriamo personaggi diversi, con uno stile proprio e magari una luce diversa. È quasi come un film on the road, ma ambientato in un corridoio. Come ha dato vita a tutti?

Volevo avere una varietà di pazienti, perché in chirurgia ci sono giovani, anziani, donne, uomini. Una rappresentazione umana in cui tutti gli spettatori potessero riconoscersi. Abbiamo poi riflettuto sul rendere interessante un luogo noioso e grigio come un ospedale. Ogni stanza riflette i pazienti e abbiamo lavorato con luci, tende e atmosfere per renderla anche visivamente avvincente. Sono ispirati dalla ricerca svolta, ma anche dalla mia vita personale. Ad esempio, l’uomo con il cane ha proprio il mio cane. Se fossi in ospedale e stessi morendo, la mia più grande preoccupazione sarebbe cosa ne sarebbe del mio cane. E poi, un medico ci ha detto che è effettivamente una grande preoccupazione per le persone, quella degli animali. C’è sempre più violenza contro gli infermieri negli ospedali, sono tutti sempre più impazienti. Dimenticano che ci sono centinaia di altri pazienti e non sono gli unici. Molti infermieri con cui parlo si lamentano che le persone sono diventate egoiste ed egocentriche, abituate a vivere con il telefono, con cui premono un pulsante e ottengono ciò che vogliono, ma non è così che funziona un ospedale.

È evidente che la sua simpatia va agli infermieri. C’è una scena, forse l’unica in cui si vede per un po’ una dottoressa, che se ne va finito il turno non volendo restare qualche minuto per comunicare al paziente una diagnosi delicata.

Certo, si potrebbe fare un film sui medici sotto pressione, non li sto giudicando, ma mostro come il sistema metta sotto pressione tutti. Voglio essere comprensiva con il medico, è stata in sala operatoria per 10 ore, non ha mangiato né bevuto. Anche i medici sono oberati di lavoro. Ma è anche vero che lei può andarsene e l’infermiera no. E penso che sia importante saperlo, perché alcuni medici si sono sentiti un po’ offesi dal film. Dovrebbero essere in grado di capirlo e accettarlo, ci sono così tante serie televisive sugli ospedali, come The Pit, una serie fantastica sui medici in onda su HBO, solo che per una volta riguarda un’infermiera e non un medico.

Parliamo di Leonie Benesch. È incredibile. Ha allo stesso tempo fragilità e forza. Il lato umano e allo stesso tempo il pugno di ferro. Cosa le piace in lei?

Leonie è un talento naturale. Era attratta dall’idea di interpretare un personaggio che non avesse valenza morale. L’infermiera non ha un obiettivo, o un problema personale, vuole solo fare un buon lavoro. È un ruolo molto fisico. Per una regista è fantastico vedere la sua complessità e umanità. Era proprio quello che serviva al ruolo, quel mix tra sensibilità e la necessità di credere alla sua forza. Penso che abbia osservato molto bene le infermiere quando è andata in ospedale e sia riuscita a canalizzare tutto al meglio.

Una clip in esclusiva de L’ultimo turno




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