Coffin Break – Revival | Indie For Bunnies
I Coffin Break ritornano sulle scene discografiche (dopo 33 anni!) con “Revival” — e no, non si tratta di un revival nel senso più letterale e prevedibile del termine. È piuttosto una dichiarazione d’identità: un ritorno carico di sostanza, consapevolezza e quel tipo di energia che non si può fabbricare a tavolino. Quando nel 1989 registravano “Psychosis” negli stessi giorni in cui i Nirvana incidevano “Bleach” nello studio Reciprocal, nessuno avrebbe scommesso che tre decenni dopo la band di Rob Skinner e Peter Litwin sarebbe stata ancora capace di sfornare un disco così intenso e autentico. E invece eccoli, ancora con Jack Endino al mix, ancora taglienti, e forse più attuali che mai.

Se il nome Coffin Break non vi dovesse suonare così familiare, beh, fidatevi pure di Kurt Cobain (sempre sia lodato!): la band di Seattle, infatti, era uno dei suoi gruppi preferiti, tanto da farsi vedere spesso in giro con la loro maglietta. Detto questo, non aspettatevi un disco incorniciato nel mito o nella nostalgia. “Revival” è grezzo, politico, melodico, duro. È il suono di una band che non ha mai avuto bisogno di rientrare nei confini del grunge né di piacere per forza a qualcuno. Troppo punk per essere grunge, troppo melodici per essere hardcore: da sempre, i Coffin Break sono l’anello mancante del rock di Seattle, e questo album lo ribadisce con prepotenza.
Brani come “Obsession” e “Fringe” hanno l’urgenza di un’esplosione trattenuta troppo a lungo, mentre “Pop Fanatic” fa da manifesto di resistenza: “Non è rabbia, è memoria“, canta Skinner su un riff che pare uscito dal catalogo Epitaph dei tempi migliori. La produzione è volutamente spartana, con quel suono pieno di crepe che solo il sunnominato Endino sa valorizzare. Revival non cerca il favore delle playlist, ma parla a chi ha ancora le cicatrici dei 90s sulla pelle (e forse anche a chi le ha solo immaginate).
I Coffin Break non sono tornati per rifare il passato, ma per dimostrare che certe idee — integrità, onestà, rumore — hanno ancora un peso. In un’epoca di reunion stiracchiate e pose posticce, “Revival“ suona come un pugno in faccia. Bentornati.
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