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Maqueda omaggia Moretti nel docufilm ‘Caro Nanni’

“Ho imparato l’italiano, a guidare una Vespa, a ballare la salsa, persino a giocare a pallanuoto, Tutto pur di entrare, corpo e anima, nel mondo morettiano”. È la dichiarazione d’amore cinematografica del regista spagnolo Pablo Maqueda fulminato a soli 13 anni da Palombella rossa di Nanni Moretti. Una folgorazione: che gli fa dire in una intervista a El Pais: “Il cinema l’ho capito quel giorno”. Oggi, trent’anni dopo, quel ricordo lo ha portato a realizzare Caro Nanni, un documentario-omaggio che è anche un viaggio (letterale e metaforico) nel cuore del cinema italiano. A bordo di una Vespa, proprio come Moretti in Caro diario, il regista spagnolo ripercorre le strade, le scene e le ossessioni del cineasta romano, con un progetto che punta a conquistare gli ultimi finanziatori alla prossima Mostra del Cinema di Venezia.

Il docufilm – attualmente in fase di completamento e già selezionato per il Venice Gap-Financing Market, al Lido dal 29 agosto al 31 agosto, dove i progetti selezionati provenienti potranno completare il loro finanziamento attraverso incontri one-to-one con professionisti internazionali – è anche una riflessione personale sull’arte, l’identità e il senso stesso di fare cinema oggi. Una sfida, quella del regista spagnolo, non priva di ironia e rischio. Perché mettersi nei panni (letteralmente: ne indossa anche gli abiti) di Moretti significa affrontare il cinema con sincerità disarmante, con un misto di caos e rigore, politica e nevrosi, pudore e confessione. “Il mio timore più grande è sempre stato il giudizio – confessa Maqueda – Ma lui, Moretti, ha sempre saputo esporsi. Ho capito che l’unico modo per raccontarlo era mettermi in gioco anch’io”.

L’idea di Caro Nanni è nata in parte da un altro gigante, Werner Herzog, che Maqueda aveva omaggiato nel suo precedente Dear Werner (2020). Fu proprio Herzog a suggerirgli di guardarsi dentro, e non solo verso i propri idoli. Il risultato è un film dove il confine tra documentario, performance e diario intimo si fa sempre più sottile. Un’opera che è anche un autoritratto, girato fra Stromboli e Napoli, tra Roma e le autostrade italiane, a temperature estreme e in condizioni spesso ai limiti del possibile.
A sostenerlo, un piccolo ma affiatato gruppo di collaboratori, che lo ha seguito in questa avventura folle e affettuosa, sottolinea El País. Con loro, ha interrogato bagnanti sulle spiagge partenopee su quale film italiano li farebbe restare a vivere in Italia. Lui, ovviamente, sceglie Moretti: “Perché nei suoi film la regina è sempre la domanda, mai la risposta”.

“Nel mio documentario cerco il vero Nanni – spiega Maqueda – L’ho trovato? Forse. Forse no. Forse è proprio questa la domanda”. Il film uscirà nel 2028, ma promette già di essere uno degli omaggi più sinceri e originali a un autore che ha lasciato un segno anche sul linguaggio stesso degli italiani. Indimenticabili le battute di “Ecce Bombo” (“Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio della cose…”) o l’implorazione in “Aprile” (“D’Alema, dì qualcosa di sinistra!”), oggi diventate motti generazionali. Per Maqueda, Caro Nanni è anche un atto di fede nel cinema italiano. “È l’unico che non ha mai perso il rispetto per il mestiere”, dichiara. E cita una delle invettive più celebri del suo maestro, da “Sogni d’oro”: “Tutti parlano di cinema! Ma io parlo forse di astrofisica? Di epigrafia greca? No!”.


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