“Dov’è Dio a Gaza? C’è da chiedersi dove sia il cuore dell’uomo. Evangelizzo sul web per un messaggio positivo in mezzo a tanta cronaca nera”: parla Don Cosimo Schena
“Il nuovo modo di comunicare è ancora in evoluzione, la Chiesa sta cercando di stare al passo con i tempi senza perdere la sua identità”. Il Vaticano prova a parlare il linguaggio dei giovani, ma non sempre ci riesce. Almeno per adesso. E Don Cosimo Schena, 46enne parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi a Brindisi, non lo nasconde. È il sacerdote italiano più seguito sui social. Uno di quelli che, da alcuni anni, hanno trovato nella rete un modo moderno per evangelizzare e cercare di intercettare anche le nuove generazioni. Su Instagram e Tik Tok, dove vanta complessivamente quasi 700mila follower, pubblica brevi reel di riflessione e post con inviti all’amore e riferimenti alle sacre scritture. “Sul web bisogna usare un messaggio semplice e d’impatto, ma soprattutto vero”, confida a FqMagazine. Anche ora che è conosciuto, ci tiene a sottolineare che la sua vita è rimasta uguale, ma che si è reso conto del grande potere della rete. Lo abbiamo raggiunto al telefono.
Partiamo dall’inizio. C’è stato un episodio che l’ha convinta della sua vocazione?
Nessuno in particolare. Sono entrato in seminario a 23 anni, al tempo studiavo ingegneria informatica. Ho preso questa scelta di vita grazie alla testimonianza concreta del mio parroco, che si spendeva e si spende tuttora per le persone, per la Chiesa e per Dio. Da lì ho cominciato a interrogarmi sul mio percorso.
Quando è iniziata la sua missione di evangelizzazione sul web?
È iniziata nel 2021. Quando accendevo la tv o aprivo i social ero bombardato da notizie negative e di cronaca nera. Allora mi sono detto: “Perché non provare a portare qualcosa di positivo, il messaggio di Dio?” Così è cominciato tutto, senza nessuna pretesa.
In pochi anni i suoi numeri sui social si sono moltiplicati. Quando ha capito che questo tipo di linguaggio poteva funzionare?
Giorno dopo giorno, ho visto aumentare le e-mail e i messaggi in cui mi venivano chiesti consigli, preghiere e supporto. E in questi anni sono anche diventato psicologo, è stata una crescita graduale. Prima di iniziare la mia avventura sui social, vedendo le chiese vuote pensavo che molte persone fossero lontane da Dio. Invece mi sono ricreduto. La scorsa settimana ho incontrato al Giubileo di Roma tantissimi giovani che mi hanno fermato e sono rimasto colpito da una ragazza in particolare. Il suo gruppo stava correndo per prendere la metro, mi ha riconosciuto, è tornata indietro e mi ha detto “Grazie Don, perché i tuoi messaggi e i tuoi video hanno salvato la mia vita e quella di una mia amica”. Non ho saputo veramente più cosa dire. Questo modo di evangelizzare può salvare le vite e portare messaggi al cuore. Non dobbiamo dimenticare che dietro ogni schermo c’è una persona.
Qual è secondo lei il segreto del suo successo sul web?
Non lo chiamo successo, non mi sento per niente famoso. La mia vita è sempre uguale, ero prete di una piccola parrocchia e lì sono rimasto. Penso che il segreto di tutto sia la semplicità di noi stessi e far capire agli altri che si è disponibili all’ascolto.
Oggi si è davvero in grado di ascoltare?
Credo che la malattia di questo secolo sia la solitudine. Ci ascoltiamo poco e niente. Mi arrivano e-mail e messaggi lunghissimi dove mi si chiede solo di leggere e di ascoltare senza bisogno di rispondere e, a volte, questo a chi mi scrive basta. Un giorno su Facebook ho trovato 300-400 messaggi di un ragazzo con scritto “Aiutami”. Gli ho detto di chiamarmi. Dopo una settimana mi è arrivata una telefonata da un numero sconosciuto e dall’altra parte si sentiva solo respirare. Cinque minuti più tardi il ragazzo mi ha detto il suo nome: era ignorato perché si riteneva che portasse sfortuna e neanche i genitori lo tenevano in considerazione. Mi sono mosso per aiutarlo grazie ad alcune persone che conoscevo nella sua città e ora sta bene.
Durante il Giubileo dei giovani Papa Leone ha parlato anche di fragilità. Essere fragili è un tabù per i giovani?
Il problema è che la società di oggi impone a tutti di essere perfetti e sempre i primi della classe. Accogliere le proprie fragilità diventa una potenzialità perché si riescono a comprendere i propri limiti e gli aspetti in cui crescere e migliorare. Sia Papa Leone che Papa Francesco hanno calcato proprio su questo: non dobbiamo vergognarci delle nostre fragilità, ma accoglierle e trasformarle in potenzialità perché ci danno la possibilità di accettare anche le imperfezioni degli altri. Se fossimo perfetti, non saremmo qui sulla terra.
Sempre citando Papa Leone, secondo lei è difficile per i giovani “sentirsi vivi e aspirare a cose grandi?”
No, il Giubileo ha dimostrato l’entusiasmo, la gioia, la voglia di fare dei giovani. Sabato sera durante la veglia c’era un silenzio assordante, i ragazzi non facevano né video né foto ma pregavano. Possono sentirsi vivi, basta volerlo e che gli adulti diano loro la possibilità di realizzare i loro sogni.
Di cosa hanno bisogno allora le nuove generazioni?
Servono degli adulti che credano in loro, che li ascoltino e che diano loro importanza, perché sono loro i protagonisti di questo tempo. Purtroppo spesso la società, che è portata avanti dagli adulti, non dà la possibilità ai giovani di una realizzazione piena e di avere gli strumenti per cambiare la storia.
Carlo Acutis, che a settembre sarà proclamato Santo, diceva di “essere originali, non fotocopie”. Secondo lei qual è il rischio più grande dei canoni di perfezione?
La cultura e le mode del momento portano a essere tutti uguali. Anche il Papa ha detto di non diventare strumento di commercio: oggi è tutto basato sull’economia. L’algoritmo ci dice cosa pensare, cosa dobbiamo comprare, chi incontrare e le persone adatte a noi. Dobbiamo essere più umani e meno merce economica. Il segreto è accettare se stessi per chi siamo e non per chi gli altri vogliono che diventiamo.
L’invasione di Roma da parte dei giovani ha fatto scoppiare la polemica sul web. Troppi canti, troppa euforia, disturbo della quiete pubblica e tolleranza diversa rispetto ad altre manifestazioni. Cosa risponde?
Secondo me chi li critica cerca notorietà. Ormai tutti vanno alla ricerca del successo attraverso i media e i social. I giovani hanno portato a Roma bellezza ed è stata una gioia vederli stare insieme, pregare e cantare. Ben venga che facciano caos, si facciano sentire e facciano capire che ci sono.
Il New York Post e il Telegraph l’hanno inserita nella lista dei “preti hot” a cui la Chiesa si affida per attirare i giovani.
Per come l’ho vista io in Italiano la parola “hot” è stata traviata, i media stranieri intendevano i “preti del momento”. Anche nei miei contenuti di “hot” c’è ben poco.
Crede che il nuovo modo di comunicare sui social sia stato abbracciato totalmente dalla Chiesa per restare al passo con i tempi?
La Chiesa ha bisogno di rendersi attuale in ogni epoca senza perdere la sua identità. Per i giovani è difficile trovare Dio perché siamo presi da mille cose da fare, non abbiamo il tempo di fermarci e chiederci “Dove sto andando? Dove mi trovo? Qual è lo scopo della mia vita?”. Il nuovo modo di comunicare attraverso la rete è in evoluzione. Con Papa Francesco si è cominciato a parlare della Chiesa digitale. Quest’anno per la prima volta c’è stato il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici, a cui ho partecipato. È un ambito che si sta pian piano riconoscendo, ognuno è nato da solo sui social e ora l’obiettivo è dare un’immagine più unita e di comunione tra i vari influencer.
Papa Francesco ha tracciato la strada per un nuovo modo di comunicare della Chiesa. Qual è il suo ricordo più bello con lui?
L’anno scorso ero parte dell’organizzazione della giornata mondiale dei bambini. Mi stavo presentando, ma mi ha riconosciuto lui e non me lo aspettavo. Gli ho parlato e ci siamo fatti pure un selfie, è stato un incontro familiare. Durante il suo pontificato mi ha colpito la sua semplicità e il suo modo diretto di parlare a tutta l’umanità. Quando ha salutato per la prima volta dalla loggia il suo “Buonasera” è stato un modo per dire che era uno di noi. E lo è stato.
Al Giubileo dei giovani sia Papa Leone che il cardinale Matteo Zuppi hanno invitato alla pace. Con la guerra in Ucraina, a Gaza e in molte altre parti del mondo, molti si chiedono dove sia Dio…
Non è questione di dove sia Dio, ma di dove sia il cuore dell’uomo, perché l’uomo assetato di potere non guarda in faccia a nessuno. Vogliamo risolvere le grandi guerre, ma dobbiamo anche chiederci se riusciamo a risolvere le nostre piccole battaglie personali con gli altri. Non possiamo fare la differenza nei grandi conflitti se non mettiamo prima fine alle nostre guerre personali. Quando si vedono tanti innocenti morire, è normale chiedersi dove sia Dio. Lui è lì sotto le bombe e cerca di cambiare il cuore dell’uomo, ma viviamo il libero arbitrio e siamo noi a scegliere tra il bene e il male.
Considerando la situazione geopolitica, quanto è complicato oggi amare?
Molto perché siamo diventati troppo individualisti. Ognuno pensa al proprio tornaconto, al proprio benessere e al primeggiare. Lo impone la società dell’immagine. Essere i secondi o gli ultimi della classe non è un reato. Accogliendo le fragilità si fa la differenza nella propria vita e in quella degli altri.
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