Trentino Alto Adige/Suedtirol

Ferrari (Sat): “Overtourism e cambiamento climatico, la montagna è al limite” – Cronaca



TRENTO. Le Dolomiti sono in una fase di profonda trasformazione, e il crollo di Cima Falkner ne è solo l’ultima, drammatica, manifestazione. Cristian Ferrari, presidente della Sat e glaciologo, ci offre una lettura lucida e preoccupante di questa metamorfosi. I cambiamenti climatici accelerano processi geologici. A ciò si aggiunge la crescente pressione turistica, che nei periodi di alta stagione incide pesantemente sulla salute della montagna.

Non si tratta di vietare, dice Ferrari, ma di regolare gli accessi per preservare questo patrimonio unico. Fondamentale, secondo Ferrari, un grande investimento culturale per informare e responsabilizzare i visitatori, perché la libertà in montagna si traduce in sicurezza e rispetto. La politica è chiamata a definire una visione strategica condivisa, che tenga conto dei limiti per un futuro sostenibile delle nostre Alpi.

Presidente, che cosa sta succedendo alle nostre montagne?

«Stanno vivendo una fase di trasformazione che fa parte della loro naturale evoluzione. I cambiamenti climatici, l’aumento della pressione turistica e la perdita di memoria ambientale ed alpinistica fa sentire molto di più gli effetti, la forte antropizzazione anche in alcuni periodi dell’anno rende visibili fenomeni che in passato magari quasi nessuno se non episodicamente poteva vedere “in diretta”».

Il cambiamento climatico quanta influenza ha?

«È un fattore determinante. Accelera un naturale processo evolutivo dell’ambiente alpino. Modifica in modo più veloce il paesaggio in tempi non più geologici, ma a “memoria d’uomo”. La fusione dei ghiacciai e del permafrost che in alcuni casi destabilizza le pareti rocciose e mette in difficoltà flora, fauna e attività umane. Ne vediamo ogni giorno gli effetti concreti».

Assisteremo presto ad altri eventi franosi?

«È difficilmente prevedibile se non dove abbiamo eventi abbastanza vistosi come quelli in corso sulle Dolomiti di Brenta. Certamente crolli, frane e colate di detrito tipo debris flow, saranno sempre più frequenti, anche in zone considerate fino a ieri sicure».

C’è un luogo, una montagna, che è più in pericolo di altre?

«Ci sono molte aree fragili, soprattutto le alte quote dolomitiche e i versanti glaciali. Ma sarebbe un errore pensare che il problema sia localizzato: tutta la montagna sta vivendo una fase di vulnerabilità diffusa, anche dove per esempio si modifica il soprassuolo come boschi e pascoli che vanno a modificarsi anche per eventi imprevisti (come Vaia o l’abbandono dei pascoli)».

C’è il problema dell’afflusso turistico, con automobili sempre più presenti. Quanto può incidere sulla salute della montagna?

«Incide molto soprattutto sull’esperienza di chi va in montagna o di chi vive in montagna, uomo o animale che sia, soprattutto nei periodi di alta stagione. Serve un ripensamento dei modelli di accesso; non sempre logistica e spazio disponibile per gli automezzi vanno d’accordo con le destinazioni in quota».

Prima o poi si arriverà a una sorta di “numero chiuso” per la montagna?

«In alcune situazioni è una riflessione necessaria. Non si tratta di vietare con un “numero chiuso”, ma di regolare con un “numero controllato”: per preservare la montagna, garantire sicurezza e migliorare l’esperienza dei visitatori. La montagna non è un parco giochi illimitato».

Per sopperire a una “ignoranza ambientale” dei turisti che cosa bisognerebbe fare?

«Serve un grande investimento culturale. La Sat anche in collaborazione con altri attori sul territorio lo fa da anni, con progetti nelle scuole, nei rifugi, sui sentieri. Ma serve un’alleanza più ampia tra istituzioni, operatori e comunità per riportare la conoscenza al centro di un progetto più ampio che non coinvolga solo i residenti, ma punti a chi frequenta il nostro territorio anche in maniera sporadica. Dobbiamo lavorare sui turisti prima che arrivino sul territorio montano, non perché siano “spaventati”, ma “informati”».

Si presentano con calzature inadatte, abbigliamento inadatto, conoscenze non adeguate. Servirebbe una sorta di “esame” per avere un lasciapassare o crede che la montagna debba essere libera?

«La montagna deve restare libera, ma libertà non è improvvisazione. Serve responsabilità. Lo ricorda sempre più frequentemente il Soccorso Alpino Trentino e Nazionale che durante gli interventi individua subito le cause dei soccorsi. L’informazione, l’educazione e una maggiore presenza sul territorio sono strumenti fondamentali per prevenire rischi ed evitare banalizzazioni».

Reinhold Messner ieri lamentava un disinteresse della politica. È così anche per lei?

«Alcuni segnali positivi ci sono, ma servono politiche più strutturate e trasversali, capaci di riconoscere alla montagna il ruolo strategico che merita non solo in chiave turistica ma ambientale, sociale e culturale. La politica deve agire sui vari punti spesso considerando le molteplici di portatori di interesse che non hanno la stessa visione della montagna. Alla politica il compito di trovare una visione condivisa, che per essere tale deve necessariamente tenere conto di un certo senso del limite».

La Sat ha in cantiere qualche iniziativa in questo senso?

«Diciamo che per ora la formazione continua, ma non escludiamo di prevedere come sempre interventi mirati come spesso facciamo durante l’anno».

(foto Daniele Panato/Agenzia Panato)




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