statuti e potere cittadino nel Trecento a Torino
TORINO – Il Codice della Catena, noto anche come Libro degli Statuti della città di Torino, risale al 1360 ed è il documento più emblematico dell’Archivio Storico di Torino. In quell’anno Amedeo VI di Savoia – il celebre Conte Verde – concesse al Comune torinese una serie di statuti e franchigie in cambio dell’omaggio di fedeltà, sancendo un nuovo assetto politico dopo le contese con il cugino Giacomo d’Acaia.
Un nome singolare: da statuti alla catena
Il suo nome deriva da un episodio del 1492, quando il codice venne dotato di due robuste catene di ferro applicate alle copertine per essere esposto liberamente al pubblico nel vestibolo del Municipio, evitando i possibili e probabili furti.
Contenuto e struttura del manoscritto
Si tratta di un volume pergamenaceo miniatissimo, con antiporta illustrata raffigurante i santi patroni di Torino e le insegne alternanti del Conte di Savoia e del Comune (la croce bianca su campo rosso e il toro rampante su campo bianco).
All’interno, organizzazione tematica mediante rubriche e capilettera rossi, e il manoscritto si conclude con una autentica notarile. Il testo copriva tutto l’arco della quotidianità cittadina: norme sul mercato, l’uso delle vie, divieti, sanzioni, oltre a disposizioni sull’organizzazione del Consiglio comunale, chiamato allora Consiglio di Credenza, formato da sessanta membri non eletti ma nominati dai predecessori.
La vita urbana secondo il Codice
Il Codice della Catena restituisce un affresco vivido della Torino del Trecento: un contesto rurale dentro le mura, orti, vie fangose, animali vaganti come porci, vivaci mercati del pesce e delle carni, casupole popolate e strade strette e tortuose, descritte con linguaggio vivace come “fondo stradale non selciato… pieno di fango e sporcizia”.
Potere, simboli ed evoluzioni araldiche
Il Codice sanciva non solo un assetto normativo, ma un passaggio politico cruciale: la pacificazione tra il potere cittadino e la Casa Savoia, legittimando il dominio di Amedeo VI attraverso un atto simbolico solenne.
La miniatura con il toro segna anche la prima rappresentazione figurata del simbolo cittadino. Vi compare un toro rosso in campo bianco, in posizione passante, non ancora rampante o furioso, che costituì il primo stemma urbano torinese. Nei secoli seguenti, la figura evolse fino a diventare il toro “furioso” dorato su campo azzurro che conosciamo oggi: una trasformazione documentata a partire dal XV secolo, con l’adozione delle corna bianche (forse per simboleggiare i fiumi Po e Dora), fino all’assetto stabilizzato nel Cinquecento-Seicento e ufficializzato con la corona comitale nel 1619.
Il ruolo del Codice: consultazione pubblica e memoria collettiva
Dalla fine del Quattrocento il volume era incatenato e accessibile ai cittadini: esposto nella sede municipale, consentiva la consultazione diretta delle norme, e le pagine ingiallite testimoniano l’usura dell’uso continuo. Era una sorta di “bussola normativa” della vita urbana, prima dell’avvento dell’istruzione diffusa e dell’accesso immediato alle fonti del diritto.
Conservazione e valore museale
Oggi il codice è conservato dall’Archivio Storico della Città di Torino in via Barbaroux 32, tra gli archivi comunali più ricchi d’Europa, custode di nove secoli di storia urbana. In questi giorni è in mostra a Palazzo Madama ad aprire la mostra “Van Eyck e le miniature rivelate”, dove è esposto come uno dei tesori più suggestivi, simbolo di un patrimonio normativo e artistico unico.
La dottoressa Simonetta Castronovo, in questa occasione, lo ha presentato in un video
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