“Cerchiamo il sostegno occidentale”: ecco chi è l’uomo di Netanyahu nella Striscia di Gaza
L’ennesima e forse definitiva resa dei conti tra il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu e Hamas nella Striscia di Gaza sembra essere questione di ore. Gli obiettivi di “Bibi” appaiono ben chiari: le forze dell’Idf, ha detto il premier dello Stato ebraico durante una riunione di governo, dovranno “sconfiggere il nemico, liberare gli ostaggi e garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele“. Come raggiungere davvero tali risultati e, soprattutto, come controllare l’exclave palestinese dopo il ridimensionamento totale dei miliziani islamisti appare però incerto.
Una strategia a cui il capo del governo israeliano potrebbe continuare a fare ricorso è quella del divide et impera, la preferita da Netanyahu che l’ha già adoperata nel periodo antecedente alle stragi del 7 ottobre quando per indebolire il fronte palestinese ha rafforzato Hamas nella Striscia permettendogli di ricevere finanziamenti dal Qatar e più di recente quando ha mobilitato una serie di clan palestinesi in funzione anti-fedayn.
Ad inizio giugno è stato lo stesso Netanyahu in un video pubblicato sul suo account X a confermare di voler sostenere, “sulla base dei consigli dei funzionari della sicurezza“, i clan di Gaza che si oppongono ad Hamas. Almeno sino ad ora il premier dello Stato ebraico sembrerebbe aver puntato in particolare su Yasser Abu Shabab, tra i più potenti rappresentanti delle tribù di Gaza. Una figura che, come ha riferito nelle scorse ore il Washington Post, è ormai onnipresente sui media israeliani e sui social palestinesi.
Il 35enne capo clan si definisce un operatore umanitario e un liberatore nonostante sia accusato di aver organizzato lo scorso autunno il saccheggio sistematico degli aiuti umanitari. Un leader della tribù beduina Tarabin a cui appartiene lo stesso Abu Shabab dichiara che “non ci rappresenta. Rappresenta solo se stesso” e lo descrive come un saccheggiatore e un bandito. Esperti israeliani e palestinesi sostengono che prima della guerra il capo clan sia stato coinvolto nel traffico di droga e armi e che abbia fatto affari con la branca dello Stato Islamico nel Sinai.
A Gaza la vicinanza di Abu Shabab all’esercito israeliano non viene percepita come un elemento positivo anche se in un’intervista rilasciata di recente al quotidiano americano il capo clan ha negato di essere sostenuto da Israele o di avere ricevuto armi da Tel Aviv. Smentite che non hanno convinto in molti. La base del leader della milizia palestinese si trova infatti in una zona della Striscia di Gaza sudorientale sotto il controllo dell’Idf e negli ultimi mesi i militari israeliani non avrebbero bloccato gli uomini al servizio del capo tribù che hanno effettuato pattuglie nell’area e fermato i veicoli delle Nazioni Unite e della Croce Rossa. Analisti, operatori umanitari e membri dei gruppi armati, riporta il Washington Post, ritengono che Abu Shabab non sia l’unico a fare sfoggio di armi e a sfidare Hamas nel vuoto di sicurezza determinato dagli attacchi di Israele.
A questo punto resta da capire se le iniziative militari israeliane previste a Gaza nelle prossime ore consolideranno le quotazioni di Abu Shabab. In tal caso, i miliziani islamisti potrebbero però non rimanere a guardare. A dicembre un gruppo armato legato a Hamas ha ucciso il fratello del 35enne capo clan e durante il cessate il fuoco iniziato a gennaio le forze di sicurezza del movimento integralista hanno scatenato rappresaglie letali contro i membri del suo gruppo.
Intanto Abu Shabab precisa che, nonostante la sua milizia sia composta da appena 100 membri, ha costruito scuole, centri sanitari e altre infrastrutture civili e fa sapere inoltre di cercare “il sostegno degli Stati Uniti, dell’Unione europea e degli Stati arabi“.
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