Economia

Fake news elettorali, gli Stati sono obbligati a intervenire

Porte aperte ai ricorsi contro gli Stati che non adottano misure effettive per la lotta alla disinformazione durante i processi elettorali. Con la sentenza del 22 luglio nella causa Bradshaw e altri contro Regno Unito (n. 15653/22), per la prima volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è occupata delle misure che gli Stati sono tenuti ad adottare per fronteggiare la disinformazione e non pregiudicare il diritto degli individui alle libere elezioni. La Corte, pur lasciando spazio agli Stati che hanno un ampio margine di discrezionalità per calibrare gli interventi in materia di elezioni, ha stabilito che le autorità nazionali non possono rimanere passive quando vengono a conoscenza di minacce alle libere elezioni perché la disinformazione mette a rischio l’integrità democratica e l’essenza del diritto di ogni individuo, garantito dall’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea, di beneficiare di elezioni che assicurino la libera espressione della volontà popolare.

Il caso

Nel Regno Unito, uno dei Paesi più bersagliati dalle azioni russe, era stato pubblicato un rapporto della Camera sulla disinformazione e le fake news. Il Primo ministro aveva deciso in un primo tempo di non avviare alcuna indagine, ma dopo alcune azioni di tre deputati erano stati disposti alcuni accertamenti. La vicenda è poi arrivata alla Corte europea che ha avuto l’occasione di adottare la prima sentenza sulle operazioni di disinformazione della Russia. Strasburgo ha chiarito che, in base all’articolo 3 del Protocollo 1 che assicura il diritto a libere elezioni, gli Stati hanno l’obbligo di adottare misure positive per fare in modo che gli elettori possano esprimere liberamente il proprio voto e anche ottenere informazioni corrette durante la campagna elettorale. Malgrado l’articolo 3 del Protocollo non includa un obbligo per di Stati di svolgere indagini sulle presunte violazioni della norma, se lo Stato incorre in una flagrante omissione circa le indagini sulle ingerenze nelle sue elezioni, impedisce l’effettivo godimento del diritto individuale alle libere elezioni e viola così la norma.

Detto questo, però, la Corte fissa dei limiti alle azioni giurisdizionali stabilendo che per riconoscere lo status di vittima non basta essere potenzialmente eleggibili, ma è necessario accertare che l’ingerenza raggiunga una certa intensità e che lo Stato rimanga inerte. Questo perché il confine tra lotta alla disinformazione e censura è molto sottile e non esiste un chiaro consenso, tra gli Stati, sulle azioni da intraprendere in questo settore. La Corte ha, comunque, valutato le misure prese dalle autorità britanniche nel contrastare i tentativi di disinformazione volti a inquinare il dibattito nazionale e ha ritenuto che il Regno Unito non ha violato l’articolo 3.

Ma la Corte ha comunque aperto la strada a nuovi ricorsi contro la disinformazione riconoscendo che la Convenzione obbliga gli Stati, pur con un ampio margine di apprezzamento, a intervenire.


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