Questa guerra è la peggiore
Ahmed “The Gentleman” Obaid è un pugile palestinese con residenza a Ferrara. A 29 anni, con un record di 7 vittorie, 7 sconfitte e 3 pareggi, e già detentore del titolo International UBO dei pesi mosca, Obaid si sta preparando per il titolo italiano. Un obiettivo che insegue da tempo, dopo aver perso nel precedente tentativo, fuori casa, contro Manuel Rizzieri. Sogna la cintura azzurra da poter indossare con la bandiera palestinese sulle spalle, da dedicare ai parenti che vivono a Jenin, in Cisgiordania.
Obaid, la sua boxe spesso non è stata capita dai giudici. Come descriverebbe il suo stile e come si sta preparando per questa sfida al titolo italiano?
La mia boxe non sempre è stata capita, vero. I giudici apprezzano soprattutto i picchiatori, io invece lavoro più di scherma. Ma ho cambiato un po’ lo stile, soprattutto in attacco, grazie al mio maestro Momo Duran, senza dimenticare la mia base difensiva. Sono alto per la categoria, per quello non ho mai attaccato troppo, andando più di rimessa. Ho iniziato a boxare, sempre a Ferrara, con il maestro Croce, poi sono passato con Duran. È un maestro impegnativo che trasmette tanto e che in carriera da pugile ha vinto tutto. Mi dà la carica e la mentalità giusta negli allenamenti e poi durante i match. Lui è un professionista al cento per cento.
Cosa l’ha spinta a entrare in palestra da giovanissimo?
Sono entrato in palestra a 11 anni a Ferrara; ero piccolo e timido e mi è servito per sbloccarmi, reagire e crearmi il carattere e non ho più smesso.
La sua famiglia è arrivata in Italia dalla Palestina quando era piccolo. Che legame mantiene oggi con la sua terra d’origine?
Sono nato in Palestina e sono venuto qui con i miei a sei anni, arrivati qui per motivi economici: c’era già la guerra. Mio padre torna ogni anno in patria, sono andato anch’io a settembre, quest’anno non ci vado, troppo pericoloso. Lì ho cugini, zii e amici.
Può raccontarci cosa sta succedendo là?
I miei parenti non sono a Gaza, ma in Cisgiordania, a Jenin, dove si spara comunque tutti i giorni e vengono di continuo bloccate acqua ed elettricità. Si vive alla giornata, è molto dura trovare il cibo, sta finendo tutto. Non c’è lavoro. Ho uno zio che insegna a scuola guida; se passa l’esercito israeliano con i carri armati o le jeep militari ovviamente non lavora. Gli israeliani ordinano di stare in casa e non uscire. Entrano nelle case e saccheggiano tutto; è capitato anche a un altro zio, costretto a uscire. Quando è rientrato era tutto distrutto e ora pian piano sta sistemando. E da rubare in casa non c’era nulla! Fanno fatica ad andare avanti, sento molto il peso anch’io, non riesco ad aiutare come vorrei. È difficile mandare soldi, quasi impossibile oggi, e comunque ci fanno poco; il cibo è scarso e costa tanto. Quasi tutti hanno provato a farsi un orto in casa, mangiano riso con i pomodori o altre verdure cresciute nel terreno. La carne è costosa. L’acqua a volte non c’è: gli israeliani la chiudono e allora, quando c’è nei pozzi di famiglia, si fa la scorta per giorni, sperando basti. E a Gaza la situazione è ancora peggio!.
A settembre lei era là…
Ho visto morire una donna e ferire la figlia, davanti a me. Ero fuori, ho sentito gli spari, c’è stato un fuggi fuggi e ho visto la persona a terra. Allora cerchi di riunirti con gli amici con cui sei e provi a rincasare, così abbiamo fatto.
Ora in cosa spera?
Solo Dio può salvarci, siamo molto credenti; i palestinesi sono soprattutto musulmani, ma ci sono anche cristiani e tutti sono molto fedeli.
Cosa significherebbe vincere il titolo italiano per lei?
Mi piacerebbe molto, ormai mi sento anche italiano, dedicherei il titolo alla Palestina. Mi metterò la bandiera della Palestina sulle spalle. Io mi auguro la pace e sono per i due stati. La guerra c’è da sempre, l’ha vissuta mio nonno, poi mio padre e ora questa, che dicono tutti sia la peggiore, nessuna immaginava qualcosa del genere, anche se il 7 ottobre 2023 si era capito che la situazione sarebbe diventata estrema.
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