Il porto chiede una via per la Sora Emilia, la maitresse dell’ultima casa chiusa di Fano che aveva un cuore generoso
FANO Sono passati 68 anni da quando Villa Laurina cessò di essere il luogo del “peccato”, ma il suo ricordo continua ad essere molto vivo nella memoria dei fanesi più anziani e continua a destare non poca curiosità nelle generazioni più giovani. Lo attesta la partecipazione del pubblico, mai così numeroso, all’ultimo incontro della serie “I giovedì del Suffragio” dedicato alla casa di tolleranza di viale Dante Alighieri che si è svolto nella sede della omonima Confraternita a cui hanno relazionato il giornalista Silvano Clappis autore di una ricerca sui personaggi e l’attività della casa e il priore Carlino Bertini che ha attinto dai suoi ricordi personali.
Tra questi primeggia innanzi tutto la “Sora Emilia”, al secolo Emilia Rossi, torinese, tenutaria di questo “servizio” consentito e regolato dallo Stato. Pur svolgendo un mestiere eticamente e moralmente condannabile, la Sora Emilia ha lasciato un ricordo indelebile per la sua generosità. Ancora oggi la gente del porto ne parla con rispetto e gratitudine, tanto da voler chiedere l’intitolazione di una via o di una strada alla sua memoria presentando richiesta al Comune. «Severa e inflessibile nella attività – ha evidenziato Silvano Clappis – la Sora Emilia possedeva però un animo buono e gentile. Non ci pensò due volte ad organizzare una colletta, immettendovi molto del suo, per fare operare un bambino fanese affetto da una grave malformazione ai piedi; aiutò molte famiglie povere e in quegli anni di famiglie povere nel quartiere del porto ce n’erano molte, in balìa com’erano dalle alterne fortune delle battute di pesca».
Portava i fiori all’altare di Santa Rita
Il priore Bertini ricorda una signora di rilevante corporatura che era solita portare un cestino di fiori all’altare di Santa Rita nella chiesa del porto, che poi si rivelò essere la Sora Emilia. Villa Laurina come casa di tolleranza nacque nel 1936, quando l’immobile fu acquistato dal dottor Silvio De Grada, milanese, sposato con Lauretta Laudeni, da cui probabilmente la “villa” prese il nome. Fu attiva fino al 20 settembre del 1958, una delle ultime a cadere sotto il rigore morale della legge Merlin che non abolì l’esercizio della prostituzione, ma eliminò le cosiddette “case chiuse”. In seguito, cambiò diversi proprietari, ma Carlino ebbe modo di entrarvi in quanto il primo acquirente dopo l’entrata in vigore della legge Merlin fu il presidente della società per cui lavorava. «Appena si entrava – riporta sempre Silvano Clappis attingendo alla testimonianza di un fanese le cui iniziali sono G.P. – ci si trovava in una sala d’aspetto con divani e pesanti tendaggi alle finestre. Il pavimento era di piastrelle in graniglia passate a cera. Di fronte una scala semicurva conduceva al piano superiore dove ai lati di un corridoio centrale si trovavano 5 stanze per parte dove in alcune esercitavano il loro mestiere le signorine, altri ambienti erano adibiti a stanze private e uno in particolare alle periodiche visite sanitarie.
All’inizio della scalinata su un bussolotto di legno troneggiava il preziario del servizio, in genere: 160 lire la semplice, 220 lire un quarto d’ora, 350 lire la mezz’ora». Gli importi poi variavano con l’andare del tempo e l’evolversi della economia del Paese, ma molti giovani a Villa Laurina continuarono ad avere il primo rapporto sessuale.