Aveva lasciato un contratto sicuro per scrivere liberamente delle ingiustizie del mondo
Ci sono lacrime che pesano più delle altre. Ci sono lacrime che sembrano macigni. Restano dentro, senza rumore, ma scavano. Così ora che Mauro Del Corno ci ha lasciati, qui in redazione io e tutti gli altri ci sentiamo come svuotati. Mauro era una persona speciale. Un hombre vertical come direbbero in Spagna. Per tanti anni aveva lavorato a Radio 24, dove preparava i copioni e le scalette dei programmi di economia. Quell’impiego sicuro, però gli andava stretto. Mauro sapeva di essere un giornalista e voleva farlo davvero. Così un giorno si era presentato da me chiedendo di entrare a far parte della nostra redazione. Io però non avevo quasi niente da offrirgli. Solo un contratto a tempo determinato per Sono Le Venti, un programma d’informazione quotidiana che conducevo sul Nove. Quando gliene avevo parlato, spiegando quanto l’avventura fosse rischiosa e come non vi fosse nessuna certezza di un’assunzione stabile, lui mi aveva guardato in silenzio per tre secondi e poi mi aveva detto: “Va bene”. Così senza garanzie, senza promesse, aveva mollato tutto solo per inseguire ciò che riteneva giusto: un contratto giornalistico vero, la possibilità di firmare articoli con il proprio nome, di scrivere con libertà delle tante ingiustizie e diseguaglianze che vedeva nel mondo.
Cazzeggio, rigore morale, El pueblo unido come suoneria: i nostri ricordi
La sua solida formazione economica, dovuta anche a un maestro come Giulio Sapelli che ad ogni incontro mi chiedeva con calore di salutarlo, lo aveva spinto a studiare i mali del capitalismo. Sulla scrivania c’era sempre una pila di libri, prevalentemente in inglese, la cui lettura gli permetteva di scoprire nuove tendenze e soprattutto di arrivare al nocciolo del problema prima degli altri. In tempi diversi Mauro sarebbe probabilmente stato definito un marxista, e forse lo era. Portava la kefiah da ben prima che tutti riscoprissero la Palestina, ogni sabato era in piazza a manifestare per Gaza, la sua suoneria (altissima) intonava “el pueblo unido yamàs serà vencido”. Per me, che arrivavo da Il Giornale di Montanelli e che per anni avevo creduto nel libero mercato, ogni discussione con lui era una scoperta. La sua grande cultura, sommata alla passione per ogni genere musicale e a un’ironia sorniona, mi affascinava, così come ero ammirato dalla sua capacità, nel momento in cui si metteva a scrivere, di lasciare da parte le passioni per mettere in fila i fatti. Mauro era del resto un cronista. Che sapeva come la realtà sia più forte di ogni opinione. Per capirlo basta leggere il suo ultimo libro: Piccolo manuale per grandi rivoluzioni. Una sorta di vademecum che con parole ed esempi semplici smaschera la truffa del neoliberismo. Così oggi, davanti alla sua scomparsa, siamo tutti più poveri. Come giornalisti, come amici, come cittadini. Perché Mauro è una di quelle persone che non dimenticheremo. Le sue idee, i suoi libri, le sue intuizioni continueranno a parlarci. A darci strumenti per capire, indignarci, cambiare. Per questo le nostre tante lacrime oggi sembrano macigni e ci pesano addosso come il mondo intero. Che la terra ti sia lieve, amico mio.
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