Friuli Venezia Giulia

Da Trieste a Roma in Velocipede, l’impresa (dimenticata) del Veloce Club Triestino

02.08.2025 – 07.01 – Difficile immaginare quale emozione suscitò, a cavallo del secolo, la diffusione della bicicletta: veicolo di emancipazione per le donne, strumento di conquista della strada, rivoluzione sportiva della gioventù locale. Il velocipede era il nuovo, era il progresso; e pazienza se prevaleva ancora il grottesco biciclo e i copertoni di gomma erano rarità; l’entusiasmo per il nuovo mezzo di trasporto era incontenibile. In questo periodo non mancò chi praticava viaggi in giro per il mondo in bicicletta, chi proponeva sfide tra bici e cavallo (dove trionfava il primo, ovviamente) e persino modelli di triciclo applicati alla navigazione. Si colloca in questo contesto, sebbene su scala minore, il viaggio “Da Trieste a Roma in Velocipede“, compiuto nella primavera del 1887 e oggetto di un accurato resoconto sull’edizione del 4 giugno di quell’anno de Il Palladio, l’organo di stampa all’epoca dell’Unione Ginnastica, meglio nota oggigiorno come SGT.

Ma chi era, l’ardito? “L’infaticabile velocipedista” Bonaventura Comas era socio del Veloce Club Triestino e aveva già maturato un’esperienza notevole, compiendo il viaggio di andata e ritorno da Trieste a Vienna.
Dopo aver salutato la Direzione del Veloce Club Triestino lo scorso 25 aprile, Bonaventura partì col bel tempo; tuttavia giunto presso Villa Vicentina un improvviso temporale lo obbligò ad una sosta presso Torre Zuino, vicino a Torviscosa. Il percorso lo portò poi, il primo giorno, fino a Latisana e infine a Treviso, compiendo 184 chilometri in un giorno.
Qui – ed è interessante la rete associazionistica di sostegno presente all’epoca – fu accolto dal Veloce Club di Treviso. Il percorso proseguì poi, il secondo giorno, fino a Verona dove incontrò il consigliere del Circolo Velocipedistico, il signor Giuseppe Pancirolli, il quale lo accompagnò il giorno seguente a Castelnuovo, prima che Bonaventura giungesse a Treviglio e, il quarto giorno, a Milano. Uno snodo importante fu, il quinto giorno, l’arrivo a Genova dove il Veloce Club cittadino gli riservò una calda accoglienza (“che gli usarono tali gentilezze che non potrà mai scordare”).
Le strade, finora regolari, iniziarono a peggiorare: infatti “causa la traversata del monte Bracco, che è formato da una catena di tre monti”, Bonaventura impiegò “tre ore e mezza sempre a piedi essendo questa una strada impossibile a farla sul biciclo”.
Per il tratto da Viareggio a Torre S. Vincenzo, il ciclista ebbe un primo incidente, perché “lo assalse un terribile uragano, ed il vento soffiava così impetuoso che gli ricordava la nostra bora, per cui fu costretto a scendere dal biciclo e percorrere questo tratto a piedi”.
Il velocipedista raccontò poi che la Maremma Toscana “è affatto spopolata di paesi”, infatti “non s’incontrano che le così dette stazioni che distanziano da 7 a 14 miglia l’una dall’altra”. Le stazioni erano all’epoca una o due case dove alloggiare; in pratica stazioni per la posta. Era però l’ultimo tratto: il 5 maggio era ormai a Civitavecchia e il 6 a Roma dove si affrettò a spedire un telegramma a Trieste, annunciando il completamento dell’impresa. Bonaventura avrebbe poi desiderato proseguire fino a Napoli, ma il velocipede era ormai troppo malandato; gli rimase la consolazione dei complimenti del Veloce Club romano; “egli ebbe campo d’accertarsi che i velocipedisti triestini godono molta stima presso i confratelli romani” comunicò con orgoglio.

[z.s.]




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