Marche

Legione d’Onore a Roberta Petrucci al servizio di Medici senza frontiere. La pediatra pesarese insignita della più alta onorificenza francese


PESARO Roberta Petrucci, pediatra pesarese di “Medici senza frontiere, è stata insignita della più alta onorificenza francese, La Legione d’Onore (Légion d’Honneur), istituita da Napoleone Bonaparte nel 1802 che oggi viene assegnata a cittadini francesi e stranieri che si sono distinti per servizi eccezionali resi alla Francia in vari campi, come arte, scienza, sport, economia e politica.  

Figlia di Roberto Petrucci e di Simonetta Romagna ( fresca del “Premio Sara Levi Nathan” per il suo impegno politico), maturata al Liceo scientifico Marconi, dopo l’università di medicina a Bologna, Roberta si è specializzata in pediatria a Ferrara e ha successivamente frequentato un master in medicina tropicale a Liverpool, prima di seguire la sua naturale attitudine, palesatasi nella assidua frequentazione giovanile degli scout di Pesaro, e raggiungere come medico di Msf i paesi dell’Africa subsahariana, del Medio oriente e dell’America Latina e affrontare epidemie, malnutrizione, meningite. Dopo tanti anni in missione, oggi, Roberta lavora a Ginevra, dove svolge e organizza il supporto tecnico per i progetti pediatrici e la Legione d’onore è un riconoscimento meritato che non può che inorgoglire la cittadinanza tutta.

La sorpresa

«È stata un po’ inaspettata – dichiara riferendosi alla onorificenza -, non è un lavoro che si fa per ricevere medaglie. Però è una bella soddisfazione, soprattutto in un momento in cui il lavoro umanitario è in crisi per la mancanza di fondi. Personalmente non avrei fatto tanta pubblicità, ma i miei genitori sono molto soddisfatti e fieri e spero possa essere un esempio per tanti ragazzi».

Del resto, i contesti umanitari, tra catastrofi naturali, carestie ed epidemie, non sono cose per persone comuni e va inclusa una dose di coraggio che non rientra nella dotazione registrata dalla frequenza gaussiana: «Più che altro è il fatto di partire senza starci tanto a pensare su – sottolinea Roberta Petrucci, con lo spirito leggero delle persone di valore -. Possiamo anche chiamarlo coraggio, perché a volte ci troviamo in situazioni in cui non sempre le condizioni di sicurezza sono ideali, sebbene si seguano procedure per garantire i lavoratori umanitari, ma si sa che capita di operare in contesti dove si spara a pochi chilometri di distanza».

Poi, ci si immagina che non tutto fili liscio: «La metà del lavoro è quello di trovare il modo migliore possibile per dare le migliori cure possibili in un determinato contesto – spiega – che non si impara all’Università, ma il bello di questo lavoro è che si è a contatto con molti colleghi che vengono da professioni differenti e ognuno mette a disposizione degli altri le personali conoscenze ed esperienze, è un lavoro di gruppo che non si fa mai da soli». Magari è genetica, magari l’ambiente conta, tipo essere cresciuti in Italia e tante volte doversi arrangiare: «Potrebbe anche essere una battuta – aggiunge Roberta – ma, credo, che gli Italiani brillino per la capacità di risolvere situazioni complicate, me ne accorgo ora che vivo in Svizzera dove la vita è talmente facile che probabilmente questa capacità personale viene sviluppata meno di quanto non succeda a noi. Io, prima di tutto, ho avuto la fortuna di impegnarmi a fare qualcosa che era il mio sogno, nonostante le difficoltà e – conclude-, forse, grazie anche a queste ho trovato un senso di soddisfazione in più».




Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »