Toscana

quando il linguaggio diventa violenza














Le parole costruiscono. Le parole distruggono. E spesso, fanno molto più male di uno schiaffo. Perché le parole restano incise nella memoria emotiva, anche quando sembrano sparire nel vento. 

“Sei inutile.” 
“Non combinerai mai niente.”
“Chi vuoi che ti ami, così come sei?”
Frasi che scivolano nella quotidianità, dette in un attimo, con rabbia, con superficialità. Ma che lasciano segni profondi, cicatrici invisibili che nessuno vede, ma che condizionano per anni. 

Sottovalutiamo troppo spesso il peso specifico del linguaggio. Parole svalutanti, sarcastiche, ambigue, dette con apparente leggerezza, possono diventare forme di violenza emotiva vera e propria. Sono come lame sottili: non si vedono subito, ma colpiscono in profondità.

E la violenza verbale non è solo quella esplicita. È anche quella passiva, insinuante, ironica, quella che ti fa sentire inadeguato senza avertelo detto chiaramente. 
È lo sguardo che accompagna una parola pungente. È il tono che distrugge anche il complimento. È quel modo di parlare che umilia, che ferisce, che spegne.

Nel tempo, chi subisce costantemente questo tipo di comunicazione inizia a dubitare di sé, a sentirsi davvero come viene descritto: fragile, incapace, sbagliato. E così il linguaggio diventa gabbia, il dialogo si trasforma in campo minato, e l’amore in veleno.

Le parole sono strumenti potenti. Possono curare, accarezzare, elevare. Ma possono anche manipolare, ferire, sottomettere. È per questo che dovremmo imparare a riconoscere anche la violenza che passa dalla bocca, e non solo quella che colpisce il corpo.

Perché chi ti ama davvero non ti distrugge con le parole. Ti costruisce con la voce, ti protegge con il linguaggio, ti solleva con il tono. Con rispetto, sempre.





















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