Ambiente

I confini della responsabilità per i danni al clima


L’Ordinanza si limita, infatti, ad affermare la giurisdizione del Tribunale di Roma a decidere la controversia sulla base di due argomenti in linea con il quadro normativo. In primo luogo, la giurisdizione spetta al giudice ordinario in quanto si tratterebbe di una “comune azione risarcitoria” che non sconfina in “una invasione nella sfera riservata al potere legislativo”, poiché, diversamente da quanto deciso nella causa promossa nei confronti dello Stato italiano, il Mef e Cdp sono stati citati non in qualità di soggetti pubblici, ma di azionisti di Eni. In secondo luogo, la giurisdizione spetta al giudice italiano in quanto Eni, in qualità di parte convenuta, ha la propria sede legale in Italia e anche tutti gli attori, che lamentano danni da climate change, sono residenti in Italia.

L’Ordinanza chiarisce inoltre che rimangono ancora aperte tutte le questioni di grande rilievo che attengono al merito della controversia, tra cui, in particolare, (i) la possibilità di applicare direttamente e in modo vincolante ai privati le norme dell’Accordo di Parigi, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) e della Costituzione, e la conseguente “giustiziabilità” delle domande delle Ong e degli attivisti, (ii) la legittimazione ad agire delle due ONG, nonché (iii) la configurabilità in concreto di un danno individuale subito dagli attori in conseguenza delle condotte di Eni.

Resta, inoltre, ancora tutta da verificare la questione relativa alla responsabilità di Eni anche eventualmente in qualità di capogruppo rispetto alle emissioni prodotte dalle sue controllate o consociate, tema che la Cassazione ha rimesso al Tribunale di Roma, chiarendo che «l’accertamento dell’imputabilità all’Eni delle emissioni prodotte dalle predette società… attiene al merito della controversia». Tali questioni dovranno quindi essere tutte affrontate e risolte dal Tribunale di Roma nel prosieguo della causa civile che dovrà ora essere riassunta da una delle parti entro i prossimi sei mesi.

In relazione ai temi ancora aperti, nella prima fase del giudizio Eni ha reso note la propria strategia industriale e le misure adottate in materia di transizione energetica, nonché documentato la complessità tecnico-scientifica oltre che giuridica di un fenomeno globale, quale il cambiamento climatico.

E proprio con riferimento a questo ultimo aspetto che la Corte di Appello dell’Aia ha riconosciuto nel caso Shell (sentenza n. 2100 del 12 novembre 2024), che il giudice non può imporre all’azienda una riduzione specifica delle emissioni.


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