un intreccio che ha cambiato il modo di raccontare storie nel medium
C’è stato un tempo in cui si giocava “per il punteggio”, per superare un livello, per battere l’amico nel salotto di casa. Poi, qualcosa è cambiato. Il videogioco ha cominciato a raccontare storie e a emozionare. In quel momento, è nato un nuovo linguaggio, figlio del cinema ma declinato in maniera interattiva, e capace di far vivere al giocatore un’esperienza diversa.
È lì che ha cominciato a germogliare la contaminazione tra cinema e videogioco. Un incontro che ha segnato, nel tempo, alcuni dei capitoli più importanti della storia del medium, con alcune storie che restano dentro a lungo, anche dopo aver finito di giocarle.
Le avventure grafiche: l’origine della narrazione videoludica
È difficile parlare di narrazione nei videogiochi senza rendere omaggio alle avventure grafiche degli anni ’80 e ’90. Pensiamo a capolavori come Monkey Island e Grim Fandango. Precursori di titoli come le avventure Telltale e quelle targate David Cage.In questi casi, la grammatica narrativa era diversa da quella cinematografica, certo, ma la volontà di creare mondi credibili, personaggi tridimensionali e dialoghi sfaccettati era già evidente. In quei giochi, spesso testuali o punta-e-clicca, c’era qualcosa che ricordava il cinema: la centralità della regia, la costruzione dell’atmosfera e l’intenzione di coinvolgere emotivamente chi stava davanti allo schermo.
Hideo Kojima: un autore tra cinema e interazione
Se però c’è un game designer che più di tutti ha reso evidente – e viscerale – il legame tra cinema e videogioco, quello è Hideo Kojima.
La sua carriera è stata costruita sull’idea che il videogioco può essere regia, montaggio, recitazione, atmosfera, e allo stesso tempo interattività. Le sue prime opere, Snatcher e Policenauts, erano già dichiarazioni d’amore verso la settima arte, ispirate a film come Blade Runner, Arma Letale e 2001: Odissea nello spazio. Due avventure grafiche ibride, a metà tra il romanzo visuale e il film noir, piene di citazioni e scelte registiche.Ma è con Metal Gear Solid che Kojima è entrato nella storia, e con lui anche il concetto di videogioco cinematografico. Nel 1998, MGS mostrava inquadrature dinamiche, tagli di camera coerenti con l’azione, personaggi doppiati da attori professionisti e un uso del sonoro degno di una produzione hollywoodiana. Era un videogioco che pensava come un film, senza però rinunciare al cuore pulsante dell’interattività.
Negli anni successivi, Kojima ha portato avanti questa visione con determinazione, costruendo giochi sempre più ambiziosi, spesso divisivi, ma mai banali. Metal Gear Solid 2, ad esempio, è diventato una riflessione metanarrativa sull’identità digitale e la manipolazione dell’informazione. Metal Gear Solid 4 è stato, per molti versi, il suo film interattivo definitivo. E poi c’è stato Death Stranding, la sua opera più personale e sperimentale: un viaggio narrativo, visivo e filosofico che ha diviso pubblico e critica, ma che ha ribadito il suo credo autoriale.
Un’eredità che ha contagiato il medium
Negli anni, la lezione di Kojima – e delle avventure grafiche prima di lui (ma non solo) – è diventata patrimonio collettivo. Oggi i giochi cinematografici sono parte integrante del mercato, e sarebbe impensabile immaginare l’industria senza titoli dal calibro di The Last of Us o Red Dead Redemption 2.
E come nel cinema, anche qui i protagonisti diventano simboli, volti noti, legami emotivi. Snake, Ellie, Arthur Morgan, Sam Porter Bridges: sono nomi che ci portiamo dentro, che riconosciamo come icone immortali del nostro tempo videoludico.
Dove stiamo andando?
La contaminazione tra cinema e videogioco è ormai un dato di fatto. Naturalmente però, non tutti i giochi devono aspirare al cinema. C’è spazio – e deve esserci – anche per l’immediatezza, per l’astrazione, per l’arena competitiva o il puro divertimento meccanico.
Ma non si può negare che i giochi cinematografici abbiano lasciato un segno. Sono stati il punto di incontro tra due linguaggi apparentemente diversi, ma in fondo complementari. E oggi, più che mai, il videogioco ha dimostrato di poter essere anche questo: una forma d’arte che sa raccontare come, e forse meglio, del cinema.
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