Luca Barbareschi: «Sono un uomo libero e questo dà fastidio. Ho avuto una commozione cerebrale e nessuno dei miei figli si è fatto vivo. Le mie compagne? Le ho amate tutte»
Luca Barbareschi è così: o lo ami o lo odi. Ogni sua intervista è un’occasione per lanciare qualche provocazione e togliersi qualche sassolino dalla scarpa, ma dire quello che pensa in assoluta libertà è un lusso cui non rinuncerebbe per nessuna ragione al mondo: «È un grandissimo lusso perché ti mantiene giovane. Credo nel potere delle idee e non nell’idea del potere. Specie in questo paese consumato da dei rettili ossessionati dall’idea del potere», spiega Luca Barbareschi al telefono. Al cinema sta per arrivare il suo film Paradiso in vendita, una commedia colorata e divertente che riflette sull’ipotesi di un possibile acquisto dell’isola di Filicudi da parte del governo francese, e intanto che polemizza sulla tempestività della distribuzione in estate – «Poteva uscire anche ad agosto, a questo punto. Poi non lamentiamoci che i film italiani non li va a vedere nessuno» – Luca Barbareschi combatte con un dolore al ginocchio che non lo fa dormire: «Prendo l’ibuprofene, metto il ghiaccio e faccio fisioterapia tutti i giorni, ma il recupero sarà lungo».
Sopporta il dolore?
«Il dolore sì, ma non sopporto di non essere dinamico: sto preparando una nuova serie televisiva, due film e altre due serie per l’anno prossimo. Ho un sacco di lavoro e devo andare in giro per l’Europa perché faccio film abbastanza complicati, ma la pressurizzazione di un aereo è la cosa peggiore per chi ha un dolore alla gamba come ce l’ho io. Stanotte non ho dormito perché, quando mi sdraio, la circolazione rallenta e il dolore stride perché l’osso entra dentro il titanio. Sto invecchiando».
Quanti anni si sente?
«15. L’anno prossimo festeggerò 50 di carriera, ho un curriculum lunghissimo come attore, produttore e regista ma dentro ho il cuore di un bambino ancora felice per quello che fa».
Lo dimostra il suo ultimo film, Paradiso in vendita, legato al suo amore per l’isola di Filicudi: da quanto la frequenta?
«Da circa 40 anni: è un pezzo della mia vita, ci vado d’estate, d’inverno, in mezzo alle tempeste. Lì ho costruito una casa per i miei figli e una per me dalla quale si vedono Vulcano e Stromboli: è un paradiso. È lì che ho scritto tutti i miei spettacoli, ed è lì che ho voluto ambientare questo film che cerca di raccontare l’arroganza dei soldi contrapposta alla semplicità della gente».
È contento di come sia venuto?
«È un film sincero con dei bravissimi interpreti anche se mi spiace che, dopo essere stato in concorso con grande successo alla Festa del Cinema di Roma, esca al cinema in un periodo così devastante».
Perché, secondo lei?
«Perché non faccio parte della mafia della sinistra del cinema, né milanese né romana. Mi ritengo il miglior produttore italiano che ci sia, eppure nessuno mi ha mai invitato ai David di Donatello: ci sono dei film che costano 20 volte i miei che ricevono lodi sperticate mentre i miei passano sotto silenzio. Quando ho fatto Ardena, il mio primissimo film, fecero i picchetti davanti al cinema Barberini per non far entrare la gente, e la stessa cosa è successa per Il trasformista. Rido, però, perché poi quando quei film vanno il televisione registrano degli ottimi ascolti, mentre quelli del circoletto non li guarda nessuno».
Come si spiega questa ostilità nei suoi confronti?
«Una persona che conta mi ha detto che sto sul cazzo perché sono troppo bravo, sono un grande attore e showman e ho fatto Ballando con le stelle. La verità è che sono un uomo libero e, quindi, non ricattabile, e questo dà molto fastidio. Ma cosa dovrei fare, io? Il problema è loro. Il gioco è sporco, ma tanto io ho già vinto perché conta quello che ho fatto e non certo quello che dicono gli altri».
Mondadori Portfolio/Getty Images
Le dispiace che nessuno le dica che ha vinto?
«Sì. Avrei preferito che i colleghi che ho sempre aiutato nei momenti di difficoltà spendessero una parola per me, anche solo una. Ma, a parte Fausto Brizzi, non è mai capitato. Invece uno come Luca Zingaretti preferisce fare polemica perché la moglie di un ministro scavalca una fila senza parlare di quello che suo fratello ha fatto alla regione. Molti amano sentirsi battaglieri e, così facendo, magari sperano di lavorare con registi come Sorrentino, ma a me non me ne frega un cazzo».
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