Scienza e tecnologia

dal mito PSP alla next-gen, si poteva osare di più

Quella folle ed indimenticabile avventura nel mondo della portabilità di Sony viene ancora ricordata con un velo di nostalgia da una grossa fetta di giocatori, illusi nel lontano 2004 da un hardware dalle indubbie potenzialità che – guardando all’attuale mercato delle console ibride ed handheld – potremmo definire avveniristico, ma poco supportato da un’azienda fortemente ancorata al più classico segmento da salotto. Di quella bizzarra parentesi rimangono però scolpiti nella memoria i titoli che hanno reso la PSP un oggetto di culto, ed una delle saghe più celebrate è indubbiamente Patapon: lo strambo miscuglio tra RTS e ryhthm game è tornato sui nostri schermi con una rimasterizzazione finalmente degna del suo retaggio, eppure crediamo che Bandai Namco avrebbe potuto osare un po’ di più con un’offerta contenutistica che fatica ad attrarre un nuovo pubblico.

I limiti della collection

Non è la prima volta che la serie sviluppata da Pyramid e dal compianto Japan Studio si libera dalle catene di una console caduta nell’obsolescenza, eppure è come se in realtà lo fosse, perché la qualità delle remaster pubblicate nel 2017 e nel 2020 era quantomeno discutibile. La riedizione del primo capitolo soffriva di un vistoso input lag che lo rendeva ingiocabile vista la natura del gameplay, mentre per il secondo lo studio giapponese non si era nemmeno degnato di adattare i filmati agli schermi delle TV, decisamente più ampi rispetto a quello che montava la PlayStation Portable.

Dopo aver acquistato i diritti di pubblicazione da Sony è quindi Bandai Namco a proporre la prima vera rimasterizzazione della serie, all’interno di un pacchetto che non soffre in nessun modo il passaggio alle macchine di nuova generazione ma anzi, al contrario, sfrutta la loro potenza per superare le limitazioni della console d’origine. Ancor prima di addentrarci nell’analisi di questa collection dobbiamo sottolineare come l’assenza del terzo capitolo, sebbene comprensibile, sia comunque una grave mancanza, la quale inoltre ci aiuta ad inquadrare con esattezza i limiti del lavoro svolto dal publisher: Patapon 3 aveva una struttura di gioco incentrata sul multiplayer, dunque per riproporla alla stessa maniera Bandai Namco avrebbe dovuto ricostruire anche una componente online assumendosi il rischio di server vuoti che avrebbero significato impossibilità di progressione per tutti i giocatori interessati. Per riproporre il titolo la soluzione migliore sarebbe stata ritoccare le sue meccaniche di gioco, snaturandole in nome di una collection onnicomprensiva, ma pur di non intaccare l’esperienza originale gli sviluppatori hanno deciso di eliminare del tutto il capitolo conclusivo della saga.

Patapon 1+2 Replay è infatti una riproposizione esatta dei primi due titoli della serie, la quale abbatte le barriere dell’esclusività per PSP permettendo a tutti di giocare a questo pazzo esperimento ludico e ripercorrere il viale dei ricordi, ma senza alcuna aggiunta degna di nota che stimoli la curiosità di un nuovo pubblico.

Volere è potere

I ritocchi operati ai videogiochi pubblicati nel 2007 e nel 2008 si condensano in semplici, ma comunque gradite, opzioni di accessibilità come il selettore di difficoltà, l’aggiunta di un menu in sovrimpressione su cui sono riportate le sequenze di tamburo per azionare i vari comandi, e la possibilità di regolare la latenza di risposta ai tasti in modo da sopperire a qualsiasi input lag provocato da periferiche o pannelli poco responsivi. Il cuore della collection però rimane fedelissimo a quelli che sono diventati dei titoli di culto, rivisti soltanto attraverso una definizione d’immagine decisamente più alta rispetto a quella originale, oltre ad una fluidità di gioco che – al contrario di quanto accadeva su PSP – non risente mai delle situazioni più concitate e rimane ancorata sui 60 fps senza barcollare nemmeno quando sono presenti numerosi personaggi sullo schermo.

Il fascino di Patapon è rimasto inalterato nel tempo grazie al suo azzardato miscuglio tra gioco di strategia, RPG e ryhthm game, rappresentando un unicum per il genere e portando in alto il vessillo dell’originalità a tutti i costi che caratterizzava Japan Studio: il giocatore è chiamato ad impersonare il dio dei Patapon, un popolo di esserini con un unico occhio che, inseguendo un’antica leggenda, è alla ricerca di Quella Cosa nascosta a Fineterra. Nessuno sa cosa sia effettivamente Quella Cosa, né cosa sarà possibile ottenere grazie ad essa, ma il desiderio di averla è così forte da spingerli ad attraversare aridi deserti, abbattere nemici colossali e sterminare la popolazione degli Zigoton che si frappone sul loro cammino. I Patapon marciano al suono dei nostri comandi, impartiti secondo i battiti di tamburi che devono seguire un ritmo rigoroso pena l’arresto dell’avanzata: le combinazioni tra i quattro tasti frontali del controller permettono di eseguire ordini come muoversi in avanti, attaccare i nemici o serrare le fila difensive, alternandoli in modo da adattarsi alla situazione corrente proprio come avviene in un gioco di strategia in tempo reale.

La componente ritmica, come già accennato, risiede in un ritmo musicale semplice ma inflessibile che, se mantenuto per un tempo sufficiente, permette ai Patapon di entrare in modalità Fever, provocando danni maggiori e sbloccando nuovi tipi di attacchi per determinate unità di combattimento. Il nostro esercito infatti è gestibile prima dell’inizio di ogni missione selezionando i tipi di soldati da mandare alla pugna, tra guerrieri armati di spada e scudo utilissimi per vincere gli assedi nemici, lancieri che rimangono nelle retrovie ed arcieri che tirano tre frecce alla volta quando è attiva la modalità Fever, oltre a poche altre variazioni sbloccabili nel corso dell’avventura. A questo pericoloso calderone di meccaniche provenienti da generi diversi Patapon aggiunge anche una spruzzata di RPG con equipaggiamenti variabili e danni elementari, ma la struttura complessiva regge ed il risultato finale è un indimenticabile videogioco che mantiene inalterato il suo sorprendente fascino anche a distanza di quasi venti anni.

Patapon vecchio fa buon brodo

Per evitare che l’impianto ludico collassasse sotto il peso di elementi così lontani tra loro gli sviluppatori optarono per un’opportuna semplicità complessiva, senza quindi approfondire troppo nessun tipo di declinazione tattica o ruolistica, mostrando in questo modo il fianco ad una ripetitività che si lascia intravedere già sul medio periodo: Patapon è un gioco strutturalmente pensato per la portabilità, che si presta bene a brevi sessioni di gioco nelle quali si alterna una missione a qualche momento di grinding indispensabile a migliorare il proprio esercito con la formazione di soldati più potenti.

Allo stesso modo non è un ryhthm game duro e puro perché, nonostante il mantenimento della modalità Fever sia essenziale per superare i boss più ostici, non tutto il mondo di gioco si muove al ritmo dei nostri tamburi (come avviene nei titoli che vi abbiamo raccontato nella recensione di Hi-Fi Rush e nella recensione di BPM Bullets per Minute) e prendersi un momento per analizzare la situazione prima di proseguire non inficia sul risultato finale.

Il rischio di andare incontro alla monotonia è di fatto raddoppiato per questa collection perché Patapon 2, sebbene più rifinito e complesso, è praticamente uguale al primo. Per il sequel la filosofia di sviluppo fu infatti un ampliamento delle stesse meccaniche di base e, se il Patapon originale può essere definito come un esperimento un po’ pazzo ma carico di potenziale, il seguito è invece un videogioco molto più strutturato e convinto dei propri mezzi, capace di offrire una maggiore varietà di situazioni ed una componente ruolistica approfondita.


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