Quando non ragionerò più, lascerò
A 88 anni, il maestro Lucio Zurlo, ogni giorno, quasi di nascosto dalla famiglia, raggiunge la palestra Boxe Vesuviana di Torre Annunziata, fondata da lui stesso nel lontano 1964. Anche se talvolta si accomoda su una sedia per non affaticarsi, la sua lucidità tecnica rimane quella di un tempo. Smartphone e Pc possono metterlo in difficoltà, ma quando si tratta di pugilato, comanda ancora lui, circondato dai campioni che ha forgiato, come Pasquale Paerna, Gaetano Nespolo, Salvatore Annunziata e dal figlio Biagio. La sua straordinaria vita è ora raccontata nel libro “Il maestro. Vita, opere e cazzotti di Lucio Zurlo, gentiluomo e della Boxe Vesuviana”, frutto della penna di Antonio Lamorte. “Ho detto a mio figlio Biagio che quando non ragionerò più, non mi faccia più andare in palestra, per il momento me la sento di continuare“.
Maestro, che tipo di boxe insegna ai suoi allievi?
Io sono della vecchia maniera. Ora i pugili non sanno portare i colpi, tengono le braccia basse e prendono pugni. Sono le nuove tecniche dei nuovi allenatori. Ma i veri campioni li abbiamo fatti con il vecchio metodo. Io non sono stato un pugile, ho imparato da Geppino Silvestri. Avevo provato a fare un po’ di pugilato, ma ero molto distante da Napoli ed era complicato.
Ha dei pugili preferiti o che le sono rimasti più nel cuore?
Io non ho preferenze, tutti i miei pugili sono allo stesso livello. Cercavo di far lavorare chi non ne aveva sempre voglia, come Pietro Aurino: andavo a casa a svegliarlo per fargli fare la corsa. In palestra ci sono campioni e brocchi, il brocco serve sempre in palestra. Non li alleno tutti alla stessa maniera, ma in modo personalizzato. Il riscaldamento però è uguale per tutti.
Chi è stato il primo campione che ha portato in alto?
Il primo campione è stato Ernesto Bergamasco, poi andato alle Olimpiadi nel ’72. Ma poi abbiamo fatto l’abbonamento ai Giochi!
E tra gli ultimi talenti, c’è qualcuno che la viene ancora a trovare?
L’ultima è Irma Testa. Se viene qui a Torre, viene a salutarmi e fa due o tre cosette in palestra come un tempo. A Parigi non ha funzionato, perché non c’era l’allenatore capo; ai collegiali si devono allenare tutti insieme con un allenatore unico.
E Irma, cosa fa adesso? Quali sono i suoi piani?
Ora non so, non sa neanche lei, è indecisa, è in fase di riflessione. Si allena ma ha un momento di pausa mentale, su cosa vuole fare da grande.
Ha avuto anche suo figlio Biagio come pugile. Com’è stato essere il padre e l’allenatore allo stesso tempo?
Quando combatteva, all’angolo di mio figlio, guardavo il match, davo consigli e stavo concentrato. Appena finito il match, di fare il maestro, tornavo padre e dovevo scaricare. La tensione veniva dopo, ma era tanta. Biagio è stato campione italiano, poteva fare l’europeo e arrivare molto più in alto, ma poi mi ha detto: ‘Papà, io il pugilato lo faccio per te’. Allora lo feci smettere, perché il pugilato è bello quando uno sente di volerlo fare. Viceversa inizi a prendere colpi che non vedi arrivare e a sentirli tutti.
È cambiata molto Torre Annunziata in questi decenni?
Torre Annunziata è cambiata molto negli anni, sì, è migliorata, si sta meglio, prima era più pericolosa. Però la palestra è sempre stata un’isola felice rispetto all’esterno. Tutti mi conoscevano, non ho avuto mai problemi con nessuno.
C’è qualche aneddoto o figura particolare che ricorda con affetto?
Salvatore Russo, detto Rocky, un grande. Avrebbe potuto avere un altro tipo di carriera. Vinse il titolo italiano dei dilettanti senza pigliare un pugno, portava i colpi e poi schivava; ricordo benissimo quelle tre riprese. Passò professionista con Rocco Agostino, ma aveva, e ha ancora oggi che vive e allena in Germania, un modo tutto suo di pensare. Faceva sparring con Monzón, Antuofermo, Rocky Mattioli. Se ne andò all’improvviso in Germania. Quando torna in Italia senza preavviso, me lo vedo arrivare in palestra e si mette a darmi una mano con i ragazzi, allenando come ha imparato qui da noi, alla vecchia maniera. È un bel personaggio, Rocky.
Il pugilato le ha dato tanto, ma è mai riuscito a vivere solo di boxe?
Io sono andato in pensione come infermiere, non si vive mai di sola boxe. Anche oggi, i dilettanti combattono per passione, per i professionisti oggi è una tragedia economica. La boxe è sempre stata uno sport povero.
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