Impianto di Biometano, Ramadori rompe il silenzio: «Il ricorso al Tar è pronto» Stilettate a Calcinaro
FERMO – Il Comune di Fermo ha recentemente deciso di archiviare l’istanza presentata dalla società, motivando la scelta con presunte carenze documentali. Una decisione che la proprietà contesta con fermezza: «L’unico documento mancante era stato comunque inserito nella domanda al Gse, che ha approvato l’intero progetto. Non si può parlare di grave carenza documentale», ribadisce l’avvocata Fusari. Secondo il team legale e tecnico, il Comune non avrebbe più titolo per emettere un provvedimento inibitorio, in quanto l’iter è già avviato e supportato da atti formali e contratti in essere.
di Roberto Cruciani
La famiglia Ramadori esce allo scoperto e chiarisce la propria posizione sull’impianto di biometano che dovrebbe sorgere su un terreno agricolo di sua proprietà a Fermo, zona San Marco alle Paludi. Al centro della vicenda, 300 ettari di campagna dove oggi insistono un impianto fotovoltaico, un’aviosuperficie e, in progetto, una centrale da 100 metri cubi/ora di biometano.
A parlare è Sergio Ramadori, imprenditore agricolo alla guida delle due società proprietarie dell’area, che non nasconde la sua amarezza: «Il sindaco Calcinaro sapeva da tempo del progetto. Se davvero voleva fermarlo, avrebbe dovuto agire prima, non ora che ci sono contratti firmati per centinaia di migliaia di euro. Ha avuto tante opportunità, partendo dalla questione parcheggio che andava sistemata. E invece, mi hanno mandato fino al punto di non ritorno».
Il progetto e la procedura autorizzativa
A illustrare i dettagli tecnici è l’ingegner Massimiliano Torquati della società InEng, insieme all’avvocata Tina Maria Fusari, legale della proprietà. «Abbiamo sempre rispettato la normativa – spiega Torquati –. Per impianti di questa portata (8700 metri cubi all’anno), è sufficiente la Procedura Abilitativa Semplificata (Pas), prevista dal decreto legislativo del 2011. Non è necessaria l’autorizzazione unica regionale».
Il progetto, uno dei pochi nelle Marche a ottenere il finanziamento, ha già ricevuto l’ok dal Gse (Gestore Servizi Energetici) e beneficia di un contributo a fondo perduto pari al 40% dell’investimento, circa 1,5 milioni di euro provenienti dal Pnrr. L’energia prodotta sarà immessa nella rete Snam, e la tariffa di vendita si attesta a 1,355 euro per metro cubo, con una durata contrattuale di 15 anni.
La contestazione del Comune e il rischio dello stop
Tuttavia, il Comune di Fermo ha recentemente deciso di archiviare l’istanza presentata dalla società, motivando la scelta con presunte carenze documentali. Una decisione che la proprietà contesta con fermezza: «L’unico documento mancante era stato comunque inserito nella domanda al Gse, che ha approvato l’intero progetto. Non si può parlare di grave carenza documentale», ribadisce l’avvocata Fusari. Secondo il team legale e tecnico, il Comune non avrebbe più titolo per emettere un provvedimento inibitorio, in quanto l’iter è già avviato e supportato da atti formali e contratti in essere.
Pronto il ricorso: «Tempo prezioso in gioco»
Il rischio ora è concreto: se i lavori non ripartiranno a breve, si rischia di perdere i fondi Pnrr, che scadono il 30 giugno 2026. «Il ricorso al Tar è pronto – annuncia la legale – Lo presenteremo entro settembre, probabilmente già nei primissimi giorni del mese, e valuteremo anche una richiesta cautelare per sospendere gli effetti del provvedimento comunale».
Nel frattempo, per precauzione, le ditte coinvolte hanno sospeso le attività, ma la proprietà non intende fare marcia indietro. E si spinge oltre: «Se l’impasse dovesse protrarsi – avverte Torquati – si potrebbe perfino valutare l’esproprio da parte di Snam, trattandosi di un’opera di interesse pubblico».
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