Economia

Dazi, Berlino spiazzata apre a Macron: “Pronti al bazooka”

ROMA – All’inizio prevale lo sconcerto. Dura poco, però. Quando il commissario al commercio Maroš Šef?ovi? prende la parola, sceglie concetti di cruda verità sui dazi. E gli ambasciatori dei Ventisette si trovano immediatamente di fronte alla realtà. Chiara, politicamente allarmante, potenzialmente devastante sul fronte economico: «Noi trattiamo con i delegati della Casa Bianca – è il senso delle sue parole – e loro mostrano spiragli, qualche apertura. Alla fine però tornano da Trump e tutto salta. Non sappiamo più come fare, la situazione non è buona». È il varco. La breccia in cui si incuneano le cancellerie favorevoli a una linea dura contro il tycoon.

Il racconto che segue è riferito da diverse fonti di massimo livello. Prende subito la parola l’ambasciatore francese, mette sul tavolo la prima idea: «Senza un accordo con gli Usa, o almeno una riduzione significativa dei loro dazi, le contromisure devono partire subito, dal 2 agosto». Significa non attendere neanche il 6 agosto, come si era ipotizzato per provare a non urtare Trump, lasciando socchiusa la porta della trattativa. Dicono sì a questo scenario Grecia e Portogallo, senza indugi. Ma soprattutto, nessuno si oppone apertamente.

È un crescendo, a quel punto. Il segnale che un muro sta cedendo. Le capitali che da settimane continuano a spendersi per il dialogo ad ogni costo virano, o comunque rettificano la rotta. E vira anche Roma, con discrezione e prudenza. L’Italia si mantiene cauta, ma per la prima volta evita di mettersi a capo della fazione dei “trattativisti” ad ogni costo. Pochi minuti e il dibattito si fa ancora più interessante, perché sul tavolo finisce una seconda opzione: «Dobbiamo accelerare sulla stesura delle contromisure, in modo da portarle già la prossima settimana nel negoziato con Washington».

Detta in altri termini: la proposta è mettere sul tavolo la “pistola” che servirebbe a reagire. Ad agitarla con Trump, sfidandolo. Finora, un tabù. È sempre Parigi a esporsi, ma con una novità di rilievo: la Germania si accoda. Di più: si dice favorevole, sostenendo la linea dettata da Macron. Lo fa il più ricco e popoloso Paese del continente, ma soprattutto il più esposto all’eventuale ritorsione del presidente degli Stati Uniti. È una svolta. A favore intervengono anche Grecia, Portogallo, Lussemburgo. Ma soprattutto, di nuovo: nessuno si oppone con convinzione.

Si decide dunque di convocare una nuova riunione del Coreper per martedì prossimo, 22 luglio. In quella sede si entrerà nel dettaglio di tutte le possibili contromisure. Per «affinarle», concordano i presenti. Si tratta innanzitutto dei due pacchetti di controdazi da 22 e 72 miliardi. Senza escludere, almeno sulla carta, anche l’opzione estrema: lo strumento anticoercizione, l’arma finale contro Trump.

Non è solo un ragionamento di principio, stavolta. È il delegato francese ad alzare la mano: prepariamoci a tutto. E ancora: se serve, che parta «dal 2 agosto». Silenzio in sala, grave. Non si schiera contro nessuno, ad eccezione di due Paesi: Ungheria e Irlanda. Non parla contro l’Italia. E, soprattutto, non si oppone Berlino, anzi: la sensazione è che sia pronta al passo.

Eppure, tutti conoscono i rischi a cui va incontro l’Europa. Li illustra il commissario al commercio: anche solo ipotizzare una reazione immediata potrebbe portare Trump a restare assai vicino alla soglia del 30% di dazi già minacciati nelle lettera agli europei. Se poi Bruxelles introducesse davvero contromisure dal 2 agosto, andrebbe incontro a un inevitabile e già minacciato raid commerciale del tycoon, con un rilancio di un ulteriore 30%.

Un incubo che Giorgia Meloni vorrebbe evitare. Ufficialmente, la premier continua a reclamare un surplus di mediazione, ostinatamente. Il problema è l’inaffidabilità di Trump. Pesa però soprattutto la nuova linea tedesca, che costringe Roma a non auto-isolarsi con l’Ungheria, mentre i big continentali si compattano contro la Casa Bianca. L’altro fattore chiave riguarda la posizione di Ursula von der Leyen (che la premier ha sentito anche nelle ultime ore, al pari di Macron e Merz). La presidente della Commissione sembra voler irrigidire la linea, per evitare di finire travolta da un eventuale fallimento. Da giorni, infatti, è soprattutto Bruxelles a gestire la mediazione con Washington: un pessimo risultato la verrebbe imputato, indebolendola ulteriormente.


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