“Io non ci sto”, Crotone si ribella al racket
Con la campagna promossa dalla polizia di Stato, Crotone si ribella al racket della ‘ndrangheta e dice no al pizzo
CROTONE – Crotone si ribella al racket imposto alla ‘ndrangheta. E dice “no al pizzo”. “No alla mafia”. «Questo progetto è stato ideato per abbattere il muto di città in una città che non si è ancora liberata dal fenomeno mafioso», ha detto il questore, Renato Panvino, durante la conferenza stampa tenutasi per presentare la campagna “Io non ci sto”, promossa e organizzata dalla polizia di Stato insieme a Confartigianato, Uil e Ancos. Un’iniziativa nata per invitare gli imprenditori vittime di estorsioni a denunciare ma anche a creare una rete che non faccia sentire isolati i denuncianti.
IL PATTO
Panvino ha ricordato il periodo in cui era un giovanissimo funzionario della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria e imperversava il racket. Ha ricordato lo smarrimento delle vittime, di molte delle quali ha raccolto lo sfogo. Da allora ha pensato che bisognava fare qualcosa, sulla scia di quanto realizzato da Tano Grasso con l’associazione antiracket. «L’adesivo con il logo “Io non ci sto” dovrà essere affisso in tutte le attività commerciali – ha detto il questore di Crotone – L’eco dovrà uscire dalla stanza in cui firmiamo un patto che dovrà tradursi in azioni concrete e in un meccanismo di protezione per chi denuncia e dice no alla mafia».
«Ce la possiamo fare – ha auspicato il prefetto di Crotone, Franca Ferraro – perché certi comportamenti non possono più essere taciuti. Ci saranno inghippi e delusioni, forse, ma se soltanto uno di questo adesivi sarà sincero, noi avremo vinto».
È toccato a Francesco Pellegrini, presidente di Confartigianato Crotone, ripercorrere la genesi dell’iniziativa. «Mi ha colpito il discorso pronunciato dal questore in occasione della festa della polizia – ha detto Pellegrini – non era il solito elenco di dati ma un appello alle associazioni datoriali, alle organizzazioni sindacali, alla scuola. Una chiamata alla presa in carico e al senso di responsabilità. Un invito alla denuncia». L’iniziativa è sostenuta da Ancos, il cui coordinatore regionale, Franco Filice ha messo in evidenza che «quando i delinquenti vengono a chiederci il pizzo, la cosa migliore da fare è denunciare.
Ma spesso chi denuncia resta solo». «Ci sentiamo meno soli quando lo Stato è accanto con la sua presenza concreta e non meramente simbolica», ha aggiunto Maria Elena Senese, segretaria regionale della Uil. «Questa campagna non è soltanto un’iniziativa di sensibilizzazione ma un grido collettivo di responsabilità. “Io non ci sto” – ha detto Senese – significa che “non ci stiamo”. Non ci stiamo allo sfruttamento, alle morti sul lavoro e all’indiffereza. Spesso si voltano le spalle quando si vede qualcosa di illecito, ma questo significa diventare complici».
QUALCOSA SI MUOVE
Il procuratore di Crotone, Domenico Guarascio, che conosce molto bene le dinamiche criminali del territorio essendo stato in forza alla Dda di Catanzaro per una decina d’anni, ha evidenziato che «l’esperienza siciliana di Tano Grassi risale a una trentina d’anni fa, mentre in Calabria manca ancora una coscienza politica su questi temi». La ‘ndrangheta, ha sottolineato Guarascio, oggi «ha una vocazione imprenditoriale, ma pratica ancora fenomeni predatori come quelli estorsivi che in questo territorio non vengono denunciati. Non esiste ancora la rete che cerchiamo di promuovere. Manca ancora una cultura della prossimità, certi meccanismi di protezione vanno spiegati meglio – ha osservato Guarascio – Ma se noi rappresentanti delle istituzioni ci mettiamo la faccia è perché i cittadini si rivolgano più spesso ai nostri uffici per denunciare».
Qualcosa si sta muovendo, perché, ha annunciato il questore, «alcuni cittadini si stanno aprendo, stanno portando raggi di sole». Forse i tempi sono davvero maturi per la nascita di un movimento antiracket a Crotone.
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Plauso dalla presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo. «La campagna ha saputo coinvolgere cittadini, imprenditori e istituzioni, creando una rete virtuosa orientata al rifiuto di ogni forma di sopraffazione criminale e alla costruzione di un tessuto sociale sano e responsabile – ha detto la presidente – Siamo convinti – ha aggiunto – che solo attraverso un’azione sinergica e continuativa tra forze dell’ordine, mondo del lavoro e società civile sia possibile affermare una cultura autentica della legalità e della dignità». Per la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro l’iniziativa rappresenta «un’assunzione di responsabilità collettiva per difendere la legalità, la libertà d’impresa, la qualità e la sicurezza del lavoro». Ma anche «un modello di legalità partecipata per tutti i territori».
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