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uscita aumentata di altri 6 mesi

In pensione sempre più tardi in Italia, con l’età media effettiva di uscita dal lavoro che continua a salire. Le disuguaglianze di genere restano marcate, e il futuro del sistema pensionistico si gioca sull’inclusione lavorativa e sulla qualità dell’occupazione.

Aumenta ancora l’età effettiva del pensionamento in Italia. Secondo il Rapporto annuale dell’INPS appena pubblicato, nel biennio 2023-2024 l’età media di uscita dal lavoro è passata da 64,2 a 64,8 anni, avvicinandosi rapidamente alla soglia dei 65 anni. Il dato conferma un trend consolidato negli ultimi trent’anni, periodo in cui – anche grazie a numerose riforme – si è registrato un aumento complessivo di sette anni nell’età media di pensionamento.

Dietro questi numeri si nasconde un quadro complesso, fatto di luci e ombre. Se da un lato il sistema pensionistico appare ancora solido, come ribadito dal presidente dell’INPS Gabriele Fava, dall’altro emergono con forza le criticità legate al divario di genere, al potere d’acquisto in calo, al ricambio generazionale, e a una struttura demografica sempre più fragile.

Donne penalizzate: pensioni più basse e accesso più difficile

Una delle evidenze più forti del rapporto riguarda le diseguaglianze di genere. Le donne escono mediamente dal lavoro un anno e cinque mesi più tardi rispetto agli uomini, a causa di carriere lavorative più frammentate, interruzioni più frequenti e minori possibilità di accesso alla pensione anticipata. Ma il vero nodo è economico: il reddito pensionistico medio delle donne si ferma a 1.594,82 euro al mese, contro i 2.142,60 euro degli uomini. Una differenza del 34% che evidenzia un gap strutturale, legato sia alla minore partecipazione femminile al mercato del lavoro che alla persistente differenza retributiva.

Questa forbice si riduce leggermente tra coloro che accedono alla pensione anticipata: in questo caso, l’importo medio per gli uomini è più alto del 22,94% rispetto alle donne. Tuttavia, il problema resta: finché le donne continueranno ad avere carriere discontinue e salari più bassi, anche i loro assegni pensionistici resteranno inferiori.

Lavoro e pensione: la fotografia aggiornata

L’INPS ha registrato nel 2024 27 milioni di lavoratori che hanno versato almeno una settimana di contributi, segnando un aumento di 400.000 unità rispetto al 2023 e di 1,5 milioni rispetto al 2019, l’ultimo anno pre-pandemia. A trainare questa crescita è soprattutto il lavoro dipendente nel settore privato, che ha raggiunto quota 16,9 milioni di occupati, con 1,4 milioni in più rispetto al 2019.

Un dato positivo, che il Governo sottolinea con soddisfazione. La ministra del Lavoro Marina Calderone ha parlato di “ricette che stanno dando i frutti sperati”, sottolineando come l’aumento dell’occupazione abbia generato un “circolo virtuoso che si riflette anche sulle entrate fiscali e contributive”.

Inflazione e salari: retribuzioni reali in calo

Tuttavia, l’aumento dell’occupazione non basta a compensare l’effetto dell’inflazione. Le retribuzioni contrattuali, tra il 2019 e il 2024, sono cresciute dell’8,3%, mentre i prezzi sono aumentati del 17,4%. Un disallineamento che ha comportato una perdita di oltre nove punti di potere d’acquisto.

Le retribuzioni nette, grazie agli interventi fiscali, hanno tenuto meglio: secondo l’INPS, sono cresciute del 14,5% per i redditi più bassi, del 16,9% per quelli medi (vicini al tasso d’inflazione) e del 12% per i redditi più alti. Ma resta il fatto che, in termini reali, i lavoratori italiani hanno visto erodersi il loro potere d’acquisto proprio mentre il mercato del lavoro dava segnali di ripresa.

Pensioni: numeri e differenze

Il reddito medio mensile da pensione in Italia è di 1.860,83 euro. Se si guarda alle sole pensioni anticipate, l’importo medio sale a 2.133 euro mensili, mentre per quelle di vecchiaia si scende a 1.021 euro. Le pensioni di invalidità garantiscono in media 1.151 euro, quelle ai superstiti 855 euro, e le prestazioni assistenziali si fermano attorno ai 502 euro al mese.

Anche in questo caso, la disparità di genere è evidente: il 66% delle pensioni anticipate è erogato agli uomini, mentre il 61% delle pensioni di vecchiaia è percepito dalle donne. Una conseguenza diretta dell’asimmetria nelle carriere lavorative e nelle opportunità di accesso agli strumenti di pensionamento flessibile.

Le sfide del futuro: più occupazione femminile e giovanile

Il presidente dell’INPS Gabriele Fava ha ribadito che il sistema previdenziale italiano è solido, ma ha messo in guardia sulle sfide future: il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione porteranno a una progressiva riduzione della forza lavoro. In questo contesto, sarà fondamentale allargare la base occupazionale, puntando soprattutto su giovani e donne.

Secondo Fava, bisognerà anche incentivare la permanenza al lavoro di chi ha già i requisiti per la pensione anticipata, in modo da alleggerire la pressione sul sistema e contribuire alla sostenibilità dei conti pubblici. A tal fine, saranno necessari interventi mirati di politica attiva del lavoro, misure di welfare aziendale e una maggiore flessibilità dei percorsi di pensionamento, capaci di conciliare sostenibilità economica e diritti individuali.

Conclusioni

L’Italia si avvia verso un futuro in cui l’età pensionabile sarà sempre più alta, e in cui l’equità del sistema dipenderà dalla capacità di rendere il lavoro accessibile, stabile e remunerativo per tutti. Colmare i divari di genere, migliorare le condizioni retributive e aumentare la partecipazione al lavoro sono obiettivi imprescindibili se si vuole garantire non solo la tenuta del sistema previdenziale, ma anche un equilibrio sociale più giusto.


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