Salute

Fascicolo sanitario elettronico: la frattura tra Nord e Sud del Paese tarpa le ali al digitale


Sempre a marzo appena il 21% dei cittadini ha consultato almeno una volta il proprio Fse, considerando solo chi ha avuto almeno un documento caricato. E anche in questo caso si va dall’1% delle Marche al 65% dell’Emilia-Romagna. Nel Mezzogiorno, l’utilizzo resta sotto l’11%. «Non basta caricare i dati nel fascicolo – spiega Cartabellotta – bisogna anche mettere le persone nella condizione di usarli. E questo significa investire seriamente in alfabetizzazione digitale».

Medici sull’altalena

Tra gennaio e marzo 2025 (ottobre-dicembre 2024 per il Friuli Venezia Giulia), il 95% dei medici e dei pediatri di famiglia ha effettuato almeno un accesso al Fse. Nove Regioni raggiungono il 100% di utilizzo: Basilicata, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria. Anche nelle altre Regioni il tasso di utilizzo si mantiene elevato: Liguria (99%), Lazio e Veneto (98%), Lombardia (96%). Si collocano leggermente sotto la media nazionale Abruzzo e Friuli Venezia Giulia (94%), Calabria (93%), Sicilia (91%), Campania e Provincia Autonoma di Bolzano (88%), Toscana (80%) e Valle d’Aosta (47%).

Quanto agli specialisti, al 31 marzo (31 dicembre 2024 per il Friuli Venezia Giulia), il 72% dei medici delle aziende sanitarie risulta abilitato alla consultazione del Fse. Ma anche in questo caso le differenze tra Regioni restano marcate. Dodici Regioni e Province Autonome hanno raggiunto il 100% di abilitazioni: Lombardia, Marche, Molise, Province Autonome di Bolzano e Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto. Sotto la media nazionale si collocano Campania (61%), Lazio (60%), Abruzzo (37%), Sicilia (36%) e Calabria (26%). Fanalino di coda la Liguria, con appena il 16% di medici specialisti abilitati alla consultazione del Fse.

La proposta di un “patto”

«In alcune Regioni – conclude Cartabellotta – il Fse è uno strumento pienamente operativo, grazie alla quantità di documenti presenti, al consenso dei cittadini e al loro effettivo utilizzo. In altre, soprattutto nel Mezzogiorno, è spesso un contenitore semivuoto e scarsamente utilizzato anche per l’elevata diffidenza sulla sicurezza dei dati da parte della popolazione. Ma la sanità digitale non può essere un’innovazione per pochi: servono investimenti e una governance centralizzata per garantire diritti a tutte le persone indipendentemente dal luogo in cui vivono. Se vogliamo davvero attuare una sanità digitale, i dati devono essere accessibili non solo ai cittadini, ma a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi clinico-assistenziali, perché la tecnologia è necessaria, ma non sufficiente. Ecco perché serve un patto nazionale per la sanità digitale tra Governo, Regioni e cittadini, che assicuri completezza nei contenuti del Fse e uniformità di accesso in tutte le Regioni. Altrimenti, rischiamo che la straordinaria opportunità offerta dalla trasformazione digitale, di cui il Fse costituisce la “combinazione” di accesso, finisca per generare nuove diseguaglianze».

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